Covid-19 e bambino.
Provato che i bambini non sono immuni al Covid 19, sono molte le domande che tormentano mamme e papà in queste settimane. Quali sono i sintomi? Come possiamo riconoscere la malattia? A chi ci dobbiamo rivolgere?
Nel tentativo di fare chiarezza, abbiamo rivolto queste domande a tre autorevoli esperti della Sanità polesana: il dottor Simone Rugolotto, direttore della Pediatria dell’ospedale di Rovigo e presidente della Società italiana pediatrica; la dottoressa Flora Marino, responsabile Infettivologia Pediatrica e la dottoressa Silvia Bellonzi, responsabile Genetica Medica pediatrica, entrambe dell’Ospedale di Rovigo.
Dott. Simone Rugolotto,
Direttore UOC di Pediatria
Ospedale di Rovigo,
Presidente SIP Veneto
Dott.ssa Flora Marino,
Responsabile Infettivologia Pediatrica
Ospedale di Rovigo
Dott.ssa Silvia Bellonzi,
Responsabile Genetica Medica pediatrica
Ospedale di Rovigo
Quali sono i sintomi del manifestarsi della malattia nei bambini?
L’incidenza da Covid-19 nei bambini è più bassa rispetto agli adulti. In Italia i casi diagnosticati dai Laboratori di riferimento regionali riportano che complessivamente l’1,7% riguarda le fasce di età 0-9 anni (0,7%) e 10-19 anni (1,0%)
Attualmente la definizione di “caso sospetto” in età pediatrica prevede che il bambino presenti febbre (ovvero temperatura ascellare superiore a 37,5°C) e/o sintomi respiratori (ovvero rinite, tosse, dispnea) e/o sintomi gastrointestinali (vomito, diarrea, inappetenza), indipendentemente dal contatto con un altro caso probabile o confermato di COVID-19. Va ricordato tuttavia che il 90% dei casi in età pediatrica sono asintomatici o con sintomatologia lieve-moderata e che nei casi sintomatici le manifestazioni cliniche sono meno presenti rispetto all’adulto (minor presenza di febbre, di tosse, raramente dispnea). Pochi sono i casi che richiedono una ospedalizzazione e riguardano prevalentemente la fascia sotto l’ anno di età che è a maggiore rischio di avere una malattia respiratoria più impegnativa e i bambini di qualunque età che presentino condizione sottostante di comorbidità (patologia cardiovascolare, polmonare etc)
Esistono in commercio farmaci o integratori che possano favorire l’immunità?
Non vi è alcuna evidenza scientifica che eventuali integratori o farmaci possano ridurre il rischio di contrarre il COVID-19.
In particolare non ci sono prove scientifiche che dimostrino come l’assunzione di vitamina C sia efficace nel prevenire l’infezione da Covid-19, o nel ridurre il rischio di sintomi gravi, oppure nel diminuire la durata della malattia. Così come, nonostante si tratti di una credenza molto diffusa, non ci sono solide prove scientifiche che la vitamina C sia efficace nel prevenire il raffreddore o l’influenza. Mancano prove anche sull’efficacia di altri integratori proposti in questi giorni (per esempio zinco, lattoferrina, vitamina D) nel proteggerci dal coronavirus.
In generale, quindi, avere un’alimentazione varia e ricca di frutta e verdura è sicuramente una scelta salutare e da consigliare. Tuttavia per affrontare con minori rischi le infezioni, oltre che una corretta alimentazione è importante che tutto lo stile di vita sia sano.
Al momento l’unica vera protezione dal coronavirus è limitare il più possibile i contatti sociali, mantenendo la distanza di almeno un metro e rispettando le norme igieniche: lavaggio frequente e accurato delle mani, evitare di toccare bocca, naso e occhi con le mani sporche, coprire bocca e naso con un fazzoletto quando si tossisce o si starnutisce.
E’ opportuno ritardare vaccinazioni?
Non c’è alcun motivo per rimandare le vaccinazioni programmate. In particolare le scadenze vaccinali del ciclo primario, comprendente anche i vaccini combinati del secondo anno di vita, vanno rispettate nell’emergenza Covid-19. Anzi, a maggior ragione in questo periodo, come precisato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, “qualsiasi interruzione dei servizi di profilassi vaccinale determinerebbe un accumulo di casi di malattie prevenibili, con il rischio di aprire la strada a nuove epidemie”
Al momento, in Italia, non c’è l’indicazione a vaccinare i bambini sani contro l’influenza. Tuttavia, alla luce dell’emergenza Covid-19, riteniamo che la vaccinazione antinfluenzale debba essere considerata indispensabile in età pediatrica.
Esiste infatti la possibilità di una nuova ondata di infezioni da Coronavirus nel periodo autunnale che sarebbero difficili da distinguere dall’influenza soprattutto al di fuori degli ospedali.
Ogni anno, nel nostro Paese, l’influenza colpisce fino al 9% della popolazione, cioè più di 5.000.000 di persone ogni anno e in alcuni casi possono verificarsi complicanze (polmoniti, miocarditi, otiti, sinusiti etc) che causano il decesso in più di 8.000 persone l’anno.
Purtroppo solo il 55% della popolazione è vaccinata per l’influenza e molte morti potrebbero essere evitate se tutti si vaccinassero.
Per il Covid-19 il vaccino non c’è ancora, ma per l’influenza stagionale, sì!
Se la mamma è positiva al virus o semplicemente si sospetta che lo sia, può comunque allattare?
Questa domanda non ha ad oggi una risposta univoca. I benefici dell’allattamento al seno devono essere infatti confrontati con il rischio di trasmettere il COVID-19 in quanto, se è vero che non è stata documentata la presenza di COVID-19 nel latte materno, bisogna però tener conto che l’allattamento prevede la stretta vicinanza madre-bambino. Inoltre, per le madri sottoposte a terapia antivirale, non è al momento nota la sicurezza del latte materno.
Vi sono dunque due approcci possibili, la cui scelta deve essere condivisa con i genitori:
– se i genitori preferiscono ridurre il rischio di trasmissione e accettano un ridotto legame mamma-figlio, l’allattamento viene sospeso; la madre può comunque continuare a tirarsi il latte, fino a che non sarà asintomatica con due test negativi per COVID-19, a quel punto potrà rialimentare al seno il suo bambino;
– se i genitori preferiscono accettare il rischio della trasmissione al bambino, l’allattamento avverrà previa disinfezione di mani, igiene dei capezzoli e applicazione di mascherina chirurgica, guanti (in ospedale anche camice e copricapo) per la madre. Questi accorgimenti andranno continuati fino a che la madre non sarà asintomatica con due test negativi per COVID-19.
Il neonato verrà successivamente testato ogni settimana per il primo mese di vita per osservare eventuale comparsa di positività. Nel caso manifesti sintomatologia invece, sarà necessario ricovero in un Centro HUB (Ospedale di Padova), come da protocollo regionale.
Nel dubbio che il proprio bambino sia contagiato, a chi ci si deve rivolgere?
In caso di bambino con sintomatologia sospetta, è necessario contattare telefonicamente il pediatra curante che deciderà se esiste indicazione a visita medica e/o isolamento domiciliare fiduciario e valuterà eventuale comunicazione al SISP (Servizio Igiene e Sanità Pubblica). A sua volta il SISP contatterà la famiglia ed effettuerà o meno (in base alla sintomatologia e all’andamento clinico) il tampone per COVID-19.
L’invio in PS pediatrico viene indicato, sempre da parte del proprio Curante, qualora insorga un aggravamento clinico o vi siano sintomi importanti tali da richiedere una valutazione clinica del bambino stesso ed eventuali esami di approfondimento.
Resta valido l’accesso diretto del bambino per condizioni urgenti, previo pre-triage presso il PS generale.
In merito alla permanenza nel Reparto di Pediatria si ricorda che, come da recenti indicazione della Regione Veneto, tutti i bambini ricoverti per qualunque causa, verranno sottoposti a tampone per covid-19. Tale indicazione verrà estesa anche ai genitori accompagnatori.
A partire dal mese di maggio sarà inoltre attivo lo Screening del personale del Sistema Sanitario Regionale che prevede esecuzione di tamponi e sierologie ogni 10-20 giorni valutato in base al livello di rischio espositivo.
La mascherina sarà necessaria anche per i più piccoli?
Secondo l’ultimo DPCM del 26 aprile 2020 “non sono soggetti all’obbligo i bambini al di sotto dei sei anni, nonché i soggetti con forme di disabilità non compatibili con l’uso continuativo della mascherina, ovvero i soggetti che interagiscono con i predetti”.
Le case rischiano di essere luoghi di contagio possibile, quali sono le accortezze che dobbiamo sempre avere anche in casa?
Secondo le indicazioni del Ministero della Salute, la persona con diagnosi o sospetto di COVID-19 deve stare lontana dagli altri familiari, se possibile in una stanza singola ben ventilata, non deve ricevere visite, e deve indossare una mascherina chirurgica da cambiare ogni giorno. La persona che presta assistenza deve invece essere in buona salute e anch’essa deve indossare una mascherina chirurgica accuratamente posizionata sul viso quando si trova nella stessa stanza del malato. Altre indicazioni del Ministero della salute sono di lavarsi accuratamente le mani con acqua e sapone o con una soluzione idroalcolica dopo ogni contatto con il malato o con il suo ambiente circostante. Le stoviglie, posate, asciugamani e lenzuola devono essere dedicate esclusivamente al malato e devono essere lavate quotidianamente, così come le superfici toccate frequentemente dallo stesso.
La vita dentro le mura domestiche di questo lungo periodo, la difficoltà a raggiungere i luoghi di mare durante i prossimi mesi estivi, potrebbero essere cause di un diminuito apporto di vitamina D, che sappiamo essere importantissima per i bambini. Come compensare?
Quando si parla di vitamina D si fa riferimento sia alla vitamina D2 sia alla vitamina D3, che derivano rispettivamente dagli alimenti e dalla sintesi endogena a livello cutaneo.
Gli alimenti più ricchi di vitamina D sono notoriamente gli olii di pesce ed in particolar modo l’olio di fegato di merluzzo, l’olio di sgombro, sardina e salmone; si ritiene sufficiente la loro assunzione 3-4 volte alla settimana per assicurare un apporto ottimale di vitamina D. Anche il latte è un elemento importante, ma la quantità di vit D2 in esso contenuta è variabile. Altri alimenti ricchi di Vitamina D sono il succo d’arancia, il pane, i cereali ed infine l’uovo.
La sintesi endogena invece parte da un precursore cutaneo che sotto l’azione dei raggi UV viene trasformato in vit. D3
Anche se non dovessimo andare in spiaggia, quindi, sarà più che sufficiente mantenere una dieta varia e far trascorrere al bambino ore all’aria aperta in modo da facilitare la sintesi della vitamina D. Da abbinare alla vita all’aria aperta è sicuramente l’attività fisica, così da evitare sovrappeso e obesità che bloccano la vitamina D impedendole di arrivare agli organi giusti.
La supplementazione di vitamina D al momento è indicata, salvo particolari stati carenziali, solo nel primo anno di vita.
Da ultimo segnaliamo il sito della Società Italiana di Pediatria (www.sip.it ) che raccoglie tutte le informazioni più importanti in tema di Covid-19 e bambino.