Fiducia. Un ponte tra presente e futuro

Durante un incontro di formazione per genitori un papà racconta: “Mi ricordo una mattina d’estate immerso nell’acqua del mare con mio padre, che cercava di insegnarmi a nuotare. Stava di fronte a me e mi sosteneva delicatamente con le mani, mentre cercavo di imparare a stare a galla. Ogni tanto le staccava per un secondo e faceva un passo indietro così ero costretto a darmi da fare per ristabilire il contatto.

Mi guardava sorridente e sicuro, mentre io oscillavo tra il timore di affondare e l’eccitazione di fronte alla sfida. Piano piano non riuscivo più a capire se a sostenermi fossero le sue mani che andavano e venivano o il suo sguardo che non mi mollava mai. Ebbi la risposta quando si allontanò un po’ di più e riuscii a raggiungerlo.

Quel giorno ho imparato due cose: a stare a galla e a fidarmi di mio padre e di me stesso. La più importante è la seconda.”

In questo racconto i protagonisti si muovono come in una danza, aggiustandosi l’uno all’altro, facendo esistere qualcosa che prima non c’era e che nessuno dei due era in grado di far esistere da solo. Nel momento in cui un figlio riesce percepire la fiducia del genitore, a portarla dentro e a renderla propria succede la magia. Ed è la magia che, come genitori. vorremmo scattasse ogni volta. Invece sono più le volte in cui un figlio la respinge, è come se dicesse “non sono ancora pronto”.

 

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La fiducia è un ponte tra il presente e il futuro, tra ciò che siamo adesso e ciò che saremo in grado di essere tra poco, L.S. Vygotsky chiamava questo ponte “zona di sviluppo prossimale”, cioè il potenziale che è presente in ciascuno di noi.

La fatica del genitore consiste nel riuscire a cogliere qual è il punto di partenza del figlio e qual è il passo successivo che è in grado di compiere: quando le nostre richieste sono troppo alte, si va incontro al fallimento e alla frustrazione nel figlio e nel genitore. Come ce ne accorgiamo?

Quando affiorano in superficie le frasi “Possibile che non capisca che…?” e “Possibile che non riesca a…?”
Nella mia esperienza spesso i genitori sono molto competenti in materia di fiducia sul fronte del “fare”: sanno incoraggiare i figli quando sperimentano cose nuove, forniscono molti stimoli, li impegnano in diverse attività.
Tuttavia si sentono meno attrezzati sul piano del “sentire”: quando i figli sperimentano emozioni spiacevoli come la rabbia, la paura e la tristezza, si sentono poco adeguati, cominciano a spaventarsi e attivano comportamenti iperprotettivi (“Povero il mio bambino!”), quando prevale la paura, o ipercritici (“Asino il mio bambino!), quando il timore diventa rabbia. In entrambi i casi la svalutazione prende il posto della fiducia, la paura e la rabbia prendono il posto del senso di sicurezza.
In quel mare d’estate come sarebbero state le mani del padre o i suoi occhi, se si fosse lasciato contagiare dalla paura del figlio? O se non l’avesse letta come mancanza di coraggio e si fosse innervosito?
Riconoscere la presenza di un’emozione spiacevole in nostro figlio e dare il permesso di provarla è alla base di qualsiasi movimento di fiducia nei suoi confronti.

Quando pronunciamo le frasi: “Non devi avere paura!” “Non devi arrabbiarti!” “Non essere triste!” e ci convinciamo che rimuovendo quelle emozioni si può raggiungere l’obiettivo, stiamo costruendo un ponte senza base d’appoggio.

Si impara a nuotare quando si raggiunge l’equilibrio tra il desiderio di imparare e per la paura di affogare.

 

bolli-C.Fenzi

a cura di
Claudia Fenzi
pedagogista

 

 

 

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