Una storia di resistenza e d’amore
Allegra ha solo 5 anni. Non conosce ancora la pesante eredità di memoria della sua famiglia. La sua mamma, Rachele Cicogna, dice che è troppo presto per raccontare tutto e che quando parlerà a sua figlia della bisnonna Lala, si concentrerà soprattutto sul suo attaccamento alla vita, sulla vivacità, sull’energia, la forza d’animo e la passione che l’hanno contraddistinta sempre. Dirà anche del bisogno di nonna Lala di non tacere mai, anche quando risultava sconveniente. Era il suo modo per resistere al dramma che si portava dentro e per scongiurare il rischio che la storia potesse ripetersi.
Quella di Lala Lubelska, ebrea polacca originaria della cittadina di Lodz, a nord di Varsavia, e sopravvissuta all’Olocausto, appartiene ad una delle pagine più tristi della Storia di tutti i tempi. Ma è anche una storia di resistenza e d’amore che proprio in un campo di concentramento ha preso forma. Nello strazio e nella devastazione di ciò che c’era attorno, nel campo di lavoro di Flossemburg, dove per qualche tempo Lala fu costretta a dure fatiche, incontrò Giancarlo Cicogna, un soldato veneziano prigioniero per non aver aderito alla repubblica di Salò. Fu amore. Il loro incontro, da subito, si fece consolazione e rassicurazione. Lala conservò gelosamente per mesi un piccolo pezzetto di carta con il nome, il cognome e l’indirizzo di Giancarlo. E perché nessuno glielo sottraesse lo tenne sotto la lingua. A guerra finita, quando l’esercito americano liberò lei e gli altri ebrei sopravvissuti da Mautahausen- era il maggio del 1945 – Lala cercò quel nome, si servì di annunci sui giornali. I due si ritrovarono e sposati, si trasferirono a vivere a Badia Polesine.
“Parlerò soprattutto di questo a mia figlia Allegra – mi dice Rachele, che di energia ne ha da vendere, forse ereditata da nonna Lala con cui ha trascorso molto tempo della sua infanzia -. Le racconterò anche che il nome del suo bisnonno Giancarlo Cicogna è con altri a far parte del giardino dei Giusti a Gerusalemme. Le ripeterò le frasi che mia nonna ripeteva a me: Forza! Non abbatterti! Vivi pienamente la tua vita! Sii grata anche quando non ti senti in forma! Sii curiosa di tutto! Non adagiarti sul pensiero altrui! Sii critica e studia! C’è una porta sola di accesso ad un futuro di giustizia, la sua chiave è la conoscenza e la consapevolezza!”. E aggiunge: “Allegra conoscerà la durezza e la complessità di questa storia a scuola, in occasione della giornata della memoria o quando studierà”.
Allora saprà che Lala Lubelska era solo una bambina quando, nel 1939, i tedeschi invasero la Polonia e costrinsero gli ebrei a vivere nei ghetti marginalizzandoli ed escludendoli dalla vita sociale. Azioni che per i bambini di oggi sembrano scontate, come frequentare la scuola, a Lala e a milioni di altri ebrei in Europa vennero negate. Poi arrivò il giorno tragico del trasferimento nei campi di concentramento. I tedeschi si portarono via la mamma di Lala e solo qualche mese più tardi trasferirono anche lei con le sorelle ed il papà ad Auschwitz. Vi rimasero solo pochi giorni perché destinati a Mauthausen. Lala lavorava in una selleria. Ogni giorno per raggiungere il suo posto di lavoro doveva fare 10 chilometri a piedi. Camminava tra i cadaveri di quelli che a tanta fatica non erano riusciti a resistere. Furono anni interminabili di privazioni, sofferenze e paura… Ma nonna Lala era forte. Non rivide mai più suo padre, né sua madre “. A guerra finita, tutto ciò che le restava era quel pezzetto di carta con il nome di Giancarlo Cicogna. Ripartì da lì per ricominciare a vivere.
Perchè nessuno dimentichi
Rachele e suo padre Giorgio, figlio di Lala e Giancarlo Cicogna, da anni sono impegnati a portare la testimonianza del ricordo di Lala nelle scuole di Badia Polesine e della provincia di Rovigo. Lo fanno perché nessuno dimentichi mai ciò che è stato. Perché il dolore di nonna Lala e dei 6 milioni di ebrei vittime della brutalità dei nazisti, dei sopravvissuti e delle loro famiglie potrà essere risarcito solo se si affermerà una coscienza collettiva forte e decisa contro tutto ciò che lede e umilia l’umanità.
Giorno della Memoria 27 gennaio 2020
La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. In questo giorno tutti siamo chiamati a ripensare a una simile strage di proporzioni epocali, affinché non vengano mai più scritte pagine di storia come questa.
Il Giardino dei Giusti
Il primo Giardino dei Giusti, nato a Gerusalemme nel 1962, è dedicato ai Giusti tra le nazioni. Il promotore è Moshe Bejski, salvato da Oskar Schindler. Moshe Bejski ha dedicato la propria vita a ricercare nel mondo i Giusti tra le nazioni: può rendere l’idea la portata della sua ricerca se si pensa che tra il 1963 e il 2001 ne sono stati commemorati circa 20.000 di cui 295 italiani. Il giardino si trova nel museo di Yad Vashem e ricorda i Giusti non ebrei che hanno salvato la vita a ebrei durante la Shoah. La commemorazione fino agli anni novanta era effettuata piantando alberi in onore dei Giusti tra le nazioni. Oggi, non essendoci più spazio per le piantumazioni, è stato costruito nel giardino il Muro d’Onore su cui ne vengono scolpiti i nomi.