Dare Fiducia. La grandezza di Giuseppe
Editoriale
E’ una consuetudine di casa nostra quella di costruire il Presepe interamente a mano. Creiamo anche le statuine e da un po’ di anni ci piace usare la pasta sale. A dire il vero, nonostante l’ambiziosa aspettativa, non ne esce mai un capolavoro. Ma è un modo come un altro per condividere l’attesa della festa più importante dell’anno e per riflettere su ciò che questo evento ha ancora da dire.
Stavamo impastando i personaggi quando mia figlia mi ha chiesto: “Perché quest’anno non facciamo più grande Giuseppe?”. “Più grande di cosa?”. “Più grande di tutti, anche di Maria e Gesù!”. “Perché mai?” – ho ribattuto con un pizzico di arroganza io, che ho la fissa della giusta proporzione e dell’equilibrio tra le parti -. “Perché lui, Maria e Gesù, li ha tenuti in braccio insieme”. Non ho osato chiederle di più. Perché l’immagine di quell’uomo, capace di contenere tra le sue braccia la fragilità di una moglie in preda alle doglie del parto e poi del suo piccolo neonato, mi ha commosso. Una volta essiccata la statuina, la sua evidente sproporzione, per un attimo, mi ha disorientata. Così grande mi sembrava un affronto alle tante e pur giuste rivendicazioni di uguaglianza, di parità tra uomini e donne, che fuori e dentro le famiglie accendono tanto spesso gli animi. I principi azzurri, si sa, sono scomparsi dall’immaginario romantico persino delle favole, le nuove principesse si salvano da sole. E benché non si tratti di una favola, perché mai dovrebbe fare eccezione la statuina nel mio presepe? Stavamo posizionando la sacra famiglia dentro la capanna, quando mia figlia, entusiasta, ha esclamato: “Vedi che avevo ragione a volere Giuseppe più grande!”.
La grandezza di Giuseppe: forse è la prima volta che ne prendo realmente coscienza. E’ la grandezza di un uomo di fede, silenzioso e umile, che ha avuto il coraggio di dire di si all’angelo del Signore. Ma è soprattutto la grandezza di un uomo innamorato che non ha dubitato della sua donna. Prima di sposarla, prima di vivere sotto lo stesso tetto, ha creduto a Maria, ha partecipato con gioia all’attesa per la nascita di quel bambino figlio dello Spirito Santo. Se ne è assunto la responsabilità. Non ha avuto paura dell’opinione altrui, non si è lasciato spaventare dalle avversità. Giuseppe: un gigante di fiducia, senza il quale non sarebbe stato possibile portare a compimento il progetto divino.
Mi fermo spesso in questi giorni davanti al nostro presepe, osservo l’immagine di Giuseppe e provo a riflettere su ciò che vuol dire a me. Un invito a ripartire dalla fiducia, fulcro e sostanza di ogni relazione: con mia figlia, con mio marito, con i miei studenti, con i miei colleghi, con le altre persone che incontro. Principio di ogni nuova relazione e cemento per rinsaldare quelle che sembravano sfilacciate.
Dare fiducia: ovvero credere che l’altro, senza imposizioni, senza minacce, senza alcuna volontà di controllo, sia in grado di fare ciò che è buono e bello. Significa dare del tu all’altro. Un tu reale. Non un altro da me, uno qualunque o qualsiasi di cui in realtà non mi interessa fino in fondo, ma un tu vicino. Significa farsi a nostra volta degni di fiducia e non perché ce lo siamo guadagnati sforzandoci, ma semplicemente partecipando alla vita delle persone con cui abbiamo a che fare in modo immediato e naturale, prendendo su di noi la responsabilità che da ciò deriva.
Giuseppe è nel mio presepe sproporzionatamente più grande. E’ l’invito alla fiducia di cui, forse, abbiamo tutti bisogno per ricominciare.