Non avere paura dell’altro
“Non bisogna mai avere paura dell’altro. Perchè tu, rispetto all’altro, sei l’altro…” A.Camilleri
“Dietro le porte chiuse l’unica visione che si può avere del mondo
é dal buco della serrarura.” M.Bucchi
Ero a casa da sola. Uno di quei momenti di rara tranquillità in cui giri per casa in pigiama facendo mille cose e nessuna veramente. Suona il campanello. Suonano tutti campanelli del palazzo. Non sarà per me, quindi non apro. Dopo poco sento bussare alla porta. Mi affaccio allo spioncino: un faccione tondo, scuro, cupo… Ho paura e non apro.
Questo pensiero mi accompagna tutto il giorno. Un episodio come tanti, per la verità nulla di grave, ma c’è qualcosa che mi logora dentro. Non mi piace aver paura. Non mi piace chiudermi in casa per paura di qualcosa che non conosco. Ma piano piano dentro di me si faceva spazio la delusione per ciò che avevo deciso di pensare: avevo dato per scontato le intenzioni di qualcuno senza concedergli la minima possibilità. Di storie se ne sentono tante, ho pensato, meglio non mettersi nei guai… Eppure, qualcosa dentro di me non mi lasciava in pace.
Siamo profondamente convinti, più o meno tutti, che la vita umana abbia pari dignità in qualunque parte del mondo. Conosciamo bene le storie dei nostri nonni che cercarono fortuna oltre oceano e sopravvissero grazie all’ospitalità di altre famiglie. Ma nella vita di tutti i giorni sembra profondamente diverso.
Accogliere è fare spazio dentro di se.
L’accoglienza è un’apertura: ciò che viene raccolto o ricevuto viene fatto entrare in una casa, in un gruppo ma soprattutto in se stessi. Accogliere vuol dire mettersi in gioco e in questo esprime una sfumatura ulteriore rispetto all’antico buon costume dell’ospitalità. Chi accoglie rende partecipe di qualcosa di proprio, si offre, si spalanca verso l’altro diventando un tutt’uno con lui. E quindi è una gran fatica, un rischio a volte, un azzardo in piena regola.
Arriva natale. E si sa che a Natale si è tutti più buoni. Con il gruppo scout decidiamo di partecipare ad una tombola all’ostello di Canal Bianco per gli ospiti. Operativi e protetti (o nascosti) dalle nostre uniformi prepariamo premi e organizziamo tabelloni. In fondo è facile sorridere per una sera sola, stringere mani, intonare due canti natalizi, risollevarsi un po’ la coscienza.
Quello che non è facile per niente è lasciar entrare la storia degli altri nella nostra, cercare di capire, a volte di giustificare, più spesso di sentire. C’è inevitabilmente un po’ di imbarazzo e diffidenza, i ragazzi sono difficili da coinvolgere, forse se avessimo portato dei tamburi invece che delle chitarre si sarebbero sentiti più a loro agio.
Ma poi penso che se fossi in un paese straniero senza famiglia né amici, senza capire bene la lingua e la mentalità l’ultima cosa che vorrei è una festa organizzata per me da un gruppo di sconosciuti saltimbanchi che cercano di farmi divertire. Se fossi lontano da casa, con nessuna certezza sul mio futuro, senza nessuna notizia di chi è partito con me, forse l’unica cosa che vorrei è trovare degli amici!
E mentre siamo intenti e indaffarati per la buona riuscita della serata, i miei figli ancora piccolissimi sgattaiolano fuori dal gruppo e, senza la minima titubanza, intraprendono una partita di calcetto mista: Italia-Africa.
Per un attimo mi si è fermato il cuore. Saranno al sicuro lì da soli? Non sanno nulla del mondo e non possono capire. Meglio tenerli d’occhio. Ma poi li ho visti sorridere e divertirsi, non servivano parole né interpreti, non servivano sovrastrutture né attività organizzate, stavano semplicemente giocando con altri ragazzi che avevano voglia di giocare con loro. Tutto qui.
Tornando a casa mi hanno solo chiesto: “Mamma li ha dipinti Dio di quel colore?“ “Sì amore, credo proprio di si!“ “Mi sono tanto divertito questa sera!“
E io torno a casa con insegnamento più grande della vita: io l’accoglienza me la faccio spiegare dei bambini
a cura di
Martina De Michele
Capo Scout Agesci
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