Primavera, tra tradizioni e leggende popolari

C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico: io vivo altrove,
e sento che sono intorno nate le viole.

Con questa strofa Giovanni Pascoli apre la poesia “L’aquilone”, dove rivive la spontanea gioia, sua e dei compagni di collegio, nel far alzare in volo quelle bianche ali sospese grazie a quell’aria celestina che si diffonde leggera con i primi rinnovati aliti della nuova stagione.

Dopo i rigori del lungo periodo invernale, la primordiale e tanto desiderata atmosfera primaverile sempre e dovunque ci fa direttamente partecipi del progressivo risveglio della natura, coinvolgendoci tra emozioni, speranze, desideri. Ed ecco, in un tempo ormai lontano, gruppi di bambini giocare chiassosi all’aperto, animando le tiepide giornate, che sempre più si appropriano di luce: Quando marzo l’è chi, tanto è longa la notte come el dì.

Andava incrementandosi sensibilmente anche il lavoro e la fatica dei contadini e dei braccianti; si portava a termine la potatura di alberi e viti, si vangava e concimava l’orto, limitando con ordine gli spazi destinati alle primizie, ma soprattutto si operava a schiera nei campi per prepararli alle semine della barbabietola da zucchero, del granoturco, della canapa.

Batter marzo Era consuetudine nei primi tre giorni di marzo che bambini e ragazzi andassero a batter marzo in gruppo per la campagna, urlando e cantando particolari filastrocche, colpendo con verghe il suolo, facendo un gran chiasso, battendo con bastoni coperchi, vecchie pentole, recipienti di latta. Il festoso corteo intendeva scuotere la natura dal sonno invernale verso il tanto atteso risveglio, per far ritornare la terra ad essere feconda e dare abbondanti frutti.

La tradizione rappresentava il retaggio di antiche ritualità da ricercarsi nel fatto che nella Repubblica Veneta marzo rappresentava il primo mese dell’anno, e pertanto il chiassoso corteo di giovani durante i primi giorni del mese, ricordava i festeggiamenti del capodanno veneto. La Serenissima, caso anomalo per altri contemporanei Stati, basava il suo calendario sulla prima versione di quello risalente all’epoca romana.
L’inizio dell’anno con marzo, il cui nome deriva da Marte (dio, in questo caso, non della guerra ma della germinazione e dei raccolti primaverili), era in relazione con il rinnovo della prima stagione. Questo conferma anche che settembre, ottobre, novembre e dicembre erano effettivamente il 7°, 8°, 9°,10° mesi dell’anno come indicano i loro nomi. Già Giulio Cesare stabilì di iniziare l’anno con gennaio secondo la sequenza attuale dei mesi, che venne adottata anche nei territori già governati dalla Repubblica Veneta solo nel 1797, a seguito delle riforme durante la dominazione napoleonica.

Calendario dell’anno More Veneto (secondo l’usanza veneta)
con la denominazione latina dei mesi.
Marzo Martius da Marte dio dei raccolti primaverili Aprile Aprilis da aperire=aprire era dedicato a Venere Maggio Maius da Maia dea dell’abbondanza (lega il suo nome al maiale) Giugno Junius da Giunone Luglio Julius (già Quintilis) da Giulio Cesare Agosto Augustus (già Sextilis) da Augusto Settembre Septembris Ottobre Octobris Novembre Novembris Dicembre Decembris Gennaio Januarius da Giano Febbraio Februarius da februa= feste della purificazione

Questa sequenza giustifica che febbraio ha meno giorni degli altri mesi: come ultimo gli furono assegnati i restanti 28 giorni a completamento dei 365 giorni dell’anno solare (febraro febraretto, corto e maledeto), compresa quella frazione di tempo di 5h 48m 46s, che ogni 4 anni corrisponde ad un giorno in più (anno bisesto anno senza sesto).

Un tempo anche l’ora era diversa
Come noto, il giorno equivale al tempo che impiega la Terra a fare una rotazione completa intorno al suo asse. Il giorno, suddiviso in 24 ore, è composto dal dì, il periodo di luce, e dalla notte, il periodo di oscurità. In passato in Italia e in altri Stati europei il giorno finiva con il tramonto del sole e ad esso seguiva la prima ora del nuovo giorno. Considerando che il tramonto del sole avviene in ore diverse durante l’anno, variabili tra le 17 e le 21, anche la prima ora del giorno non era sempre la stessa, come è evidenziato nello schema seguente.

Il giorno iniziava alle ore: 18.00 dal 15 febbraio al 14 marzo; 19.00 dal 15 marzo al 14 aprile; 20.00 dal 15 aprile al 14 maggio; 21.00 dal 15 maggio al 14 agosto; 20.00 dal 15 agosto al 14 settembre; 19.00 dal 15 sett. al 14 ottobre; 18.00 dal 15 ottobre al 14 novembre, 17.00 dal 15 novembre al 14 febbraio.

In questo particolare e complesso criterio di misurazione del tempo, i contadini e la popolazione tutta, per conoscere l’ora, si affidavano ai periodici botti giornalieri delle campane, percepibili anche a lunghe distanze. Una reminiscenza di questa usanza è da individuarsi nei rintocchi delle campane per l’ora dell’Avemaria che annunciavano l’arrivo dell’oscurità, invitando a lasciare il lavoro per tornare a casa, come ammoniva il modo di dire: per l’Avemaria a casa o par la via. Intorno alla metà del Settecento, la diffusione degli orologi meccanici portò gradualmente a fissare la mezzanotte come fine dell’ultima ora del giorno.

Pure per gli Ebrei il giorno iniziava al tramonto, come si può evincere dal Vangelo quando è descritta la deposizione nel sepolcro di Cristo, alla sera del venerdì, corrispondente alla parasceve: “Era il giorno della Parasceve e già splendevano le luci del sabato…” (Lc. 23, 54)

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a cura di Raffaele Peretto, Archeologo

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