Un padre in attesa
“Anche un padre aspetta un figlio, ma all’opposto di una madre, non percepisce i movimenti fetali, non perde per un istante il respiro mentre capisce che un altro essere vivente lo abita: in un padre non c’è posto. Né sente la vita che arriva: se la ritrova… “
può raccontare l’esperienza della paternità senza cadere nella retorica? Nei cliscé o nei luoghi comuni di tanta letteratura?
Si può parlare in modo onesto e sincero, senza pudori, della fatica di diventare padri? Ci ha provato Stefano Sgambati nel suo romanzo-memoriale “La bambina ovunque” edito da Mondadori e uscito nel settembre scorso.
Classe 1980, papà da due anni e mezzo, scrittore e giornalista di origine napoletana ma romano di adozione, Stefano racconta di sé, della sua lunga gestazione, del lavorio interiore che all’ombra, prima, di una madre in attesa e poi di una meravigliosa neonata, lo ha portato, non senza fatica, alla gioia di sentirsi padre. Senza dare nulla per scontato, con una buona dose di ironia, in una forma curata e ricercata, il libro svela tutto ciò che fino ad ora non era bene dire sulla fatica di diventare papà.
Cosa significa “La bambina ovunque”? Il titolo iniziale del libro era “L’uomo invisibile”. Avevo posto tutta l’attenzione su quello strano personaggio, protagonista del romanzo, che sono io. Solo quando il lavoro era terminato, ho deciso di cambiare il titolo in La bambina ovunque.
Bambina che nella narrazione compare di fatto solo due volte, ma che è comunque onnipresente. E’ nel lessico, nella quotidianità, nei discorsi degli amici, dei parenti, nella pressione sociale.
Per tutti i nove mesi della gravidanza di mia moglie e direi anche per molti mesi prima di riuscire a concepire, per tutto l’anno, e forse più, successivo alla nascita, non si è parlato d’altro che della bambina. Il mondo fuori aveva cessato di esistere.
Che cos’è per te questo libro?
Una lunga indagine su di me, sulle mie contrastanti emozioni fino al punto in cui sono riuscito a fare pace con esse e a scoprirmi padre. Il libro è nato dal mio bisogno di indagare profondamente, di comprendere fino in fondo cosa mi stesse succedendo. E’ nato da una situazione complessa e certamente di difficoltà. Sono convinto che siano proprio queste le situazioni in cui nasce la bella letteratura.
A cosa ti riferisci quando dici “situazione complessa”?
Alla difficoltà mia e di mia moglie di diventare genitori, all’ansia ed alla paura che ne è seguita. Alle sedute ed alle visite negli ambulatori per la fecondazione assistita, dove io, maschio-uomo-marito-futuropadre, sparivo dietro ai bisogni della futura mamma. Perdevo persino il mio nome proprio. Ero solo “lui”, il passaggio necessario, l’accompagnatore, il marito…invisibile appunto. Intendo anche la complessità di gestire poi la vita che naturalmente cambia quando arriva il pargolo. E non è tutto facile ed immediato, o almeno non lo è stato per me.
Quando sei diventato davvero papà?
Nel libro la mia storia di padre è scandita in due momenti. Il primo è quello in cui io seguo mia moglie, la accompagno, la assecondo e mi prendo cura di lei. Lo faccio con amore, è chiaro. Non lo faccio, però, con quella partecipazione che è di chi sa dove vuole arrivare. Ho sempre immaginato che nella mia vita futura ci sarebbe stata una famiglia con dei bambini. Ma non sarei oggi un padre se mia moglie non fosse stata tanto forte e determinata nel voler perseguire la strada della maternità anche con la fecondazione assistita. Carolina è madre di mia figlia, ma lo è in parte anche del padre che sono ora.
Il secondo momento è quando io comincio a comunicare con mia figlia. Quando, cioè, comincio a conoscerla davvero per quello che è, con la sua identità di bambina, altro da me o da sua madre. Fino a quel momento provavo per lei quell’infinita tenerezza e quel senso di protezione che probabilmente avrei provato di fronte ad ogni cucciolo che mi fosse stato affidato. Ecco, credo che la mia nascita consapevole al ruolo di padre sia cominciata in quel momento.
Come è cambiata la tua vita, dopo la nascita di tua figlia?
Ho scelto di non lavorare più da dipendente ma da freelance e da casa e questo indubbiamente mi permette una maggiore autonomia nella gestione della quotidianità. La fortuna è che la tipologia del mio lavoro lo ha permesso. Questa scelta è stata fondamentale per definire e conservare una routine che sia costante nelle nostre vite e soprattutto nella vita della bimba. Carolina infatti lavora come marketing manager per una multinazionale e viaggia per l’Europa almeno 3 o 4 volte al mese.
Siamo riusciti a definire il nostro equilibrio familiare nel rispetto dei tempi di ciascuno e delle rispettive professioni. Il tuo prossimo libro?
E’ in lavorazione. Non parlerà più di me, ma di una coppia al tavolo di un ristorante, alle prese con la scelta del menu e con un equilibrio da ritrovare…