Come giocavano i nostri nonni
Sempre il gioco ha caratterizzato l’età infantile dell’uomo, uno stimolo innato e spontaneo, che nello stesso tempo costituisce uno strumento basilare nella naturale formazione del bambino, avviandolo all’apprendimento, alla creatività, all’abilità manuale. Il gioco lo riteniamo normalmente in relazione alla più giovane età, quale espressione di svago, divertimento, come pure di competizione e di agonismo, se svolto in gruppi o squadre.
Ma tutto questo si proietta anche in seguito, nelle passioni che portano gli adulti a praticare o seguire le sempre più numerose specialità di sport (gioco è il calcio, giochi sono le olimpiadi…) fino alle più estreme sfide individuali, al limite del possibile e a rischio della stessa sopravvivenza. Limitandoci ad esaminare l’aspetto ludico della giovane età, oggi i giochi prevalenti sono quelli imposti da una diffusa e radicata globalizzazione e dalla aggiornata tecnologia informatica. Negozi specializzati e commercio internet forniscono prodotti che condizionano e vincolano i sogni e i desideri dei bambini e degli adolescenti, stimolando, anche attraverso la pubblicità, la loro attenzione. Spesso, però, succede che, dopo qualche giorno di effimero entusiasmo, il tanto desiderato marchingegno ludico finisce abbandonato insieme ad altri in qualche angolo dell’ambiente domestico.
In passato i pochi giocattoli a disposizione, per chi oggi è nonno, erano prevalentemente frutto della manualità. Erano i bambini, aiutati da persone adulte e occasionalmente dalla preziosa disponibilità di qualche falegname o fabbro, a costruirsi vari tipi di carretti, slitte, trottole, fionde e tanto altro, come le armi in legno per simulare scorribande tra pellerossa e cow-boy. Per le bambine era più facile disporre di qualche bambola acquistata alla sagra del paese, ma anche per loro non mancavano quelle di pezza, assemblate dalla mamma o dalla nonna; erano le stesse bambine a sentirsi mamme ed accudire al loro giocattolo imbastendo semplici vestitini, ritagliando coperte, infilando collane di minuta pasta o fiorellini, ripetendo ninne-nanne e filastrocche.
Il gioco nella quasi totalità dei casi era svolto all’aperto. Era d’obbligo stare insieme, disporre di spazio per la mobilità. L’aia della casa padronale in campagna era il luogo di riferimento per i piccoli delle limitrofe case dei braccianti, ma andavano altrettanto bene le aree attigue alle stalle, come pure le piazze e i cortili dei paesi o dei centri urbani, venivano utilizzare anche le strade poco frequentate. Si delineavano le squadre, rappresentate da un capo e spesso composte dagli stessi individui almeno per una certa stagione, si stabilivano le regole di gioco con distribuzione di ruoli, si procedeva alla conta per stabilire chi iniziava il gioco.
LA CONTA
I concorrenti erano disposti in cerchio attorno al capo-gioco che pronunciava una formula sillabando e toccando ad ogni sillaba di seguito un compagno dopo l’altro. Colui che veniva toccato per ultimo dava inizio al gioco. Le formule erano molteplici. Se ne propongono tre:
• L’oselin che vien dal mare quante pene puoi portare? Può portar ‘na pena sola, questo drento e questo fora.
• Tegna tegna rogna, chi la ga el se vergogna, te la ga proprio ti, fora mi dentro ti. • Pierino va al palazzo col suo libro sotto braccio: la lezione non la sa, quanti punti prenderà?
Fra i numerosi giochi tradizionali, dei quali alcuni sono sopravvissuti fino a qualche decennio fa, ricordiamo quelli che più caratterizzavano e animavano gli angoli di borgate e paesi.
Gioco della lippa
Gioco di squadra comune per i maschi era quello della lippa (pico o bindeca) che consisteva in un corto cilindro di legno (circa 10 cm)puntito alle estremità. Il prescelto di una squadra, al centro di un cerchio segnato sul terreno, colpiva la lippa stesa a terra con un bastone a una delle estremità. L’abilità consisteva nel farla roteare in aria e, con precisione e forza, colpirla in volo per lanciarla il più lontano possibile, dove poteva essere raccolta da uno delle due squadre. Le regole del gioco rispecchiavano in parte quelle del baseball.
Il morto era un gioco praticato dai più grandicelli. In assenza di birilli si allineavano ad un certa distanza tanti mattoni quanti erano i concorrenti e, posti verticalmente, venivano colpiti dai giocatori con un frammento di mattone adattato al caso: i mattoni caduti erano morti e vinceva chi atterrava l’ultimo sopravvissuto.
Le baline Giochi di precisione erano quelli con le palline di terracotta colorate (le baline) che si acquistavano dal tabaccaio e dal pizzicagnolo. Interminabili erano le competizioni per alcune modalità di gioco: a galo, a casteleto, a cico-spana, a busoleta. Le palline, allineate secondo le varie regole venivano colpite con una più grossa e pesante (preziose erano quelle di vetro) lanciata con un sicuro colpo di indice, o venivano indirizzate nella buca, facendole poi anche saltare fuori.
Tana sconta o scondarola Frequenti erano i giochi di movimento, un continuo rincorrersi per conquistare e imprigionare avversari, difendere e liberare compagni; per alcuni c’era anche la tana, ridotta area a semicerchio segnata sul terreno e addossata ad un muro, che costituiva il punto di riferimento per “guardie e ladri”, come pure per una serie di varianti del gioco e per il più noto e ancor oggi praticato nascondino (tana sconta o scondarola).
Gioco dei quattro cantoni. Era un continuo movimento anche il gioco dei quattro cantoni. Si eseguiva in cinque, quattro giocatori erano ai vertici di un grande quadrato e uno si sistemava al centro; quest’ultimo doveva con destrezza cercare di occupare un angolo liberatosi per i continui cambiamenti di posto a cui erano costretti i compagni. La vivacità era espressa pure giocando alto da terra. In questo caso l’individuo che stava sotto cercava di farsi sostituire da uno dei compagni, toccandolo solo quando quest’ultimo aveva almeno un piede a contatto col terreno. I bambini, infatti, dovevano stare sollevati da terra sopra oggetti distribuiti in uno spazio prestabilito e spostarsi in continuazione, evitando la penalità di essere toccati.
La palla era fondamentale per una serie di giochi di abilità praticati dalle bambine: la facevano saltare e rimbalzare in vari modi accompagnandola con precisi movimenti del corpo e recitando filastrocche e cantilene.
La corda Altri strumenti immancabili erano corde di varie lunghezze che facendole ruotare, lentamente o in fretta, consentivano di essere saltate, a piccoli balzi o correndo, a piedi nudi, con un solo piede, singolarmente o in gruppo.
Gioco dello scalone Particolarmente interessate al gioco dello scalone erano le ragazze, che con precisione ed equilibrio si cementavano a saltellare con ripetuti passaggi, sempre più difficoltosi, all’interno delle sette caselle in cui era suddiviso un rettangolo (circa 3x2m), sormontato in un lato corto da un semicerchio, disegnato sul terreno. La difficoltà aumentava anche per l’utilizzo di un sasso appiattito o coccio di vaso che doveva essere spostato con i piedi da una casella all’altra ed anche trasportato durante il continuo saltellare su parti del corpo (collo, fronte, punta delle dita).
Altri giochi, infine, piuttosto comuni erano il salto cavallina (c’era anche il salta mula o mussa), come pure la bandierina, le belle statuine, la mosca ceca, le s-ciafete, la ciocheta, ed ancora quello degli scatolini, i tappi a corona che dovevano essere lanciati a più riprese in una tortuosa pista.
a cura di
Raffaele Peretto
Archeologo