Canta che ti passa!

Nelle scorse settimane, a  Mosca, durante il convegno sull’innovazione sociale, è stato presentato un robot che recita versi e canta canzoni ai bambini; si chiama Pushkin, come il celebre poeta, saggista e drammaturgo russo.

Ha l’aspetto di un uomo in carne ed ossa con dei lunghi basettoni e capelli ricci e folti come andava di moda nell’Ottocento.
Io mi auguro che in futuro siano ancora le madri e i padri a raccontare storielle e  a canticchiare melodie ai loro figli ma è pur vero che l’interesse della scienza in questo caso si pone in continuità con un fenomeno che non è mai venuto meno nei secoli ovvero l’importanza della musica, del canto nello sviluppo affettivo-cognitivo del bambino.

Sin dal grembo materno il bambino è costantemente sollecitato da suoni e rumori: la voce della mamma, il ritmo del battito cardiaco, il suono prodotto dal flusso del liquido amniotico.

Appena nati e nei primi anni di vita i bambini esprimono le proprie emozioni attraverso i suoni, e la loro affettività può essere influenzata positivamente dalla musica. Utilizziamo infatti dolci melodie per calmare i bambini e la ninna nanna per farli addormentare.

Quante volte una melodia cantata in falsetto genera una sana risata e non solo fra i bambini. Il canto poi è in stretta relazione con la fisicità e il movimento.

Cantare, mimare le canzoni attraverso i gesti delle mani e del viso, ballare e muoversi a tempo di musica rafforzano il legame tra genitori e figli e creano una sensazione di benessere e armonia. Howard Gardner, psicologo americano, identifica nell’intelligenza musicale una capacità che influisce direttamente sullo sviluppo emotivo, spirituale e culturale ponendo l’accento sul fatto che la musica aiuta a strutturare il pensiero ed il lavoro delle persone, soprattutto nell’apprendimento delle abilità matematiche, linguistiche e spaziali.

Quando il bambino entra nel mondo della scuola la musica rimane uno strumento privilegiato e indispensabile per la crescita personale e affettivo-cognitiva. Si parte dal gioco poiché la dimensione ludica rafforza le capacità di attenzione e attiva relazioni interpersonali per arrivare poi all’obbiettivo di apprendimento.

Ascoltare suoni e melodie, a volte ad occhi chiusi o camminando per l’aula, può essere un bel modo per i bambini anche più piccoli di stimolare in loro il contatto con i propri compagni, la capacità di inventare danze e coreografie, immaginare storie.

Provate ad esempio a far ascoltare ad un gruppo di bambini l’Ouverture del Barbiere di Siviglia di G. Rossini e affidate a loro un po’ di compiti, come scrivere un racconto ispirato alla musica appena ascoltata, o realizzare una coreografia che possa essere ballata su questa musica o, ancora, fare un grande disegno a pastelli che racconti, per immagini, la stessa musica. Vi stupiranno!!!
Un altro utilissimo esercizio è quello legato alla capacità di ascoltare e riprodurre frammenti melodici. Il docente (o anche il genitore a casa) può cantare una breve melodia accompagnandosi con uno strumento e chiedere ad un volontario di provare a ripetere quello che si ricorda. Qualcuno si ricorderà le parole, qualcun altro solo la melodia o un frammento di essa. Questo semplice esercizio educa all’ascolto e contribuisce alla creazione di quel repertorio di canzoni, melodie a cui il bimbo attinge e sulle quali si formeranno poi le strutture melodico-armoniche.

La musica (che trova nel canto la sua espressione più immediata) è una forma comunicativa complessa e “globale”. Qui risiede la sua forza e la sua importanza educativa: attraverso l’esperienza musicale si possono infatti sviluppare competenze corporee, motorie e percettive, come ad esempio la possibilità di conoscere e utilizzare al meglio le proprie capacità sensoriali; competenze affettive e relazionali, come ad esempio la capacità di maturare sicurezza interiore, di ascoltare e interpretare le emozioni dell’altro, di accettare il diverso, di porsi in relazione con il gruppo, di interiorizzare comportamenti civilmente e socialmente responsabili.

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a cura di a cura di Francesco Toso, docente
Accademia F. Venezze

 

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