Rovigo senza un “senso”
Ci sono tanti modi per conoscere la realtà. Noi ci affidiamo di solito alla modalità visiva, riconosciamo ciò che abbiamo visto, ci orientiamo guardandoci intorno…e se per un attimo provassimo a non usare gli occhi?
Se anche solo per gioco provassimo a conoscere un luogo usando l’olfatto, il tatto, l’udito… Potrebbe sorprendere quante cose pur non vedendo si possono sentire e conoscere!!!
Quante cose si possono percepire e conoscere senza vedere!
E’ una mattina di mezza estate. Rovigo, via X Luglio.
L’entrata della Piazzetta Annonaria ha due archi le cui estremità sono indicate da colonne visibilmente erose dal tempo, due di esse sono integre, quelle centrali sono alte circa 70 cm e hanno sulla parte superiore una forma sferica. La colonnina posta all’estremità destra dell’entrata è erosa fino a metà, quella posta all’estremità sinistra ha la parte superiore presumibilmente un tempo sferica, per gran parte erosa, e ora ha una forma quasi appuntita.
Due archi segnano l’entrata per accedere a Piazza Annonaria, sono dotati di cancelli di ferro, due grandi strutture a due ante, ognuna delle quali composta di 9 inferriate, per un totale di 18 linee di ferro verticali per ogni arco.
I cancelli sono aperti, il sole splende, la benda sugli occhi l’ho indossata, mi porto proprio davanti all’arco di destra.
Fatelo anche voi, indossate la benda e posizionatevi. Pronti per entrare, andiamo a scoprire la nostra “Rovigo senza un senso”.
C’è il sole, lo sento sulla testa e sulla pelle, è un calore che riesci a percepire solo nelle zone che i raggi del sole raggiungono, quelle illuminate.
Mi posiziono al centro dell’arco per sentirmi più sicura nel procedere col bastone bianco e la benda sugli occhi. Faccio oscillare il mio bastone a destra e sinistra, la sua rotellina all’estremità scandisce il ritmo dei miei passi e per non disorientarmi devo utilizzare una gran riserva di concentrazione.
La prima cosa che mi investe è l’aria, arriva proprio in direzione opposta alla mia, porta con sé un riconoscibile profumo di stoccafisso. Non sento più il sole, non ho parti del corpo riscaldate, sono tutta all’ombra. Dalla mia sinistra arrivano delle risate. Sono poco lontane da me, probabilmente escono dall’interno di un negozio perché non sono nitide ma leggermente ovattate, è l’impatto del suono con le pareti o le grandi porte di vetro. Sarebbe arrivato diversamente se fossero pareti di mattoni.
Procedo a passi lenti ed incerti, cattura la mia narice sinistra e subito dopo la destra un’essenza di spezia, mi sembra sia sandalo, ma ci devo pensare un attimo. Mi fermo, porto il bastone vicino e mi concentro sull’olfatto, mi sembra quasi con certezza che si tratti di sandalo ma odorando con attenzione mi accorgo che quella forte essenza ne copre un’altra, che dopo un po’ riesco a percepire, un profumo di sapone dai toni floreali, un misto di rosa e mughetto.
Riprendo il mio bastone e procedo in avanti, percepisco un’apertura alla mia destra, la parte interamente murata è terminata, sento un suono di bicicletta che improvvisamente si ferma per essere parcheggiata, oscillo il mio bastone un po’ più in là, alla mia destra c’è un portabiciclette di metallo che tocco con il bastone.
So che Piazza Annonaria è un rettangolo 8 archi per 7. Sento il suono di un martello che batte su un tavolo, un grosso martello, in direzione delle mie ore 11.
L’orologio è fondamentale per dare indicazioni alle persone con deficit visivo, permette l’orientamento in termini di direzione. Al tonfo del martello di legno su un grosso tagliere di materiale plastico, credo, si mescola il profumo di stoccafisso, che mi aveva accolto all’entrata. Non è difficile per la mia mente recuperare l’immagine di un pescivendolo che batte il baccalà essiccato.
Sorrido e procedo lentamente, percepisco che la strada si stringe, ai miei lati destra e sinistra il mio bastone mi dice che ci sono delle cose, non sono strutture architettoniche, sono oggetti accatastati, sembrano cassette di plastica dal suono, suono che ancora una volta si mescola al profumo di frutta e verdura e a quell’unico riconoscibile straordinario rumore del sacchetto di carta che scricchiola ogni volta che viene preso in mano. Procedo fino a sentire alla mia sinistra il suono della fontana di Piazza Umberto Merlin, mi giro verso destra, faccio un po’ di passi in avanti fino a raggiungere un tombino, dovrei essere quasi al centro della piazza, sento il sole che mi scalda in ogni parte del corpo.
Sono qui al centro di Piazza Annonaria, a ore 12 , il profumo di stoccafisso, a ore 3 il suono della fontana, a ore 5 la campana della chiesa di San Domenico.
Sono le ore dieci di una giornata di fine estate. Sento in ogni direzione voci di buongiorno e grazie, di chiavi che cadono, di campanelli di bicicletta che suonano. Ritorno sotto i portici seguendo il suono della fontana, di nuovo all’ombra, procedo, angolo, volto alla mia sinistra, sento gli archi sulla mia spalla, li sento grazie al sole, ad ogni apertura i raggi filtrano e mi scaldano il lato sinistro del corpo, dalla spalla al piede.
Percepisco profumo di merceria, il profumo del filo, recupero dalla memoria le immagini della mia mamma sarta, perché siamo fatti di percezioni e ricordi intrecciati tra di loro che riemergono al riconoscimento di un profumo o di un suono.
Procedo, nella mia mente ricostruisco il percorso, la mappa della piazza che prende forma nella mia testa mi dice che al prossimo angolo devo girare a destra, i miei passi in quella direzione trasformeranno l’entrata in uscita di un’esperienza senza un senso: quello della vista.
a cura di Valentina Borella
pedagogista clinico, educatore professionale.
Consigliere Delegato Uici Rovigo Ets-Aps