Uno sguardo al passato nella ridente campagna
Riflesso della saggezza spontanea contadina….
La campagna offre ancora suggestioni e pace. Soprattutto nell’andar lento per luoghi, lungo strade secondarie o sentieri abbandonati, lungo argini di fiumi che continuano, a tratti, a serpeggiare tra fasce d’alberi e che dall’alto mostrano distese di grano, di mais, di soia, anche di giallissima colza.
Il mondo agreste rappresenta ancora un rifugio, un isolamento negli spazi aperti senza barriere di paesaggi che lasciano mostrare l’orizzonte e che, nonostante i mutamenti, ancora sanno raccontare il loro passato attraverso gli edifici superstiti, le case padronali e le dimore dei braccianti, alcune adattate a confortevoli agriturismi o fattorie didattiche, qualche villa e oratorio, attraverso numerosi canali di razionali bonifiche sempre attivi da secoli, attraverso anche i più recenti reticoli di regolari terre che continuano ad essere tanto generose e fertili.
“Cosa rende ridente la campagna, questo canterò, o Mecenate*, la stagione in cui si dissoda la terra, si legano agli olmi le viti; come si governa il bestiame, si allevano le greggi…”
Così Virgilio, il grande poeta mantovano vissuto tra il 70 e il 19 a.C. al tempo di Augusto, inizia a descrivere nelle sue Georgiche le tecniche e gli accorgimenti per coltivare la terra e allevare il bestiame, senza trascurare, nello sviluppo dell’articolato trattato, anche quelle particolari suggestioni ed atmosfere che caratterizzano la laboriosa vita agreste.
Le indicazioni che ci vengono trasmesse dalle liriche di Virgilio costituivano, ancora fino agli anni Cinquanta-Sessanta del secolo scorso, le regole comuni per gestire un podere agricolo.
Da millenni la vita nei campi era legata al rispetto dell’ambiente che, per quanto sempre più antropizzato, continuava a godere una buona salute, con un suo equilibrio, non intaccato dai preoccupanti livelli di tossicità presenti oggi nel suolo, nell’acqua, nell’aria.
Il rispetto della campagna era evidente anche nelle attenzioni riservate per il suo sfruttamento: le terre “dolci”, limoso-sabbiose, erano più adatte a un certo tipo di raccolto, altre “forti”, prevalentemente argillose, garantivano rigogliosità alle colture; c’erano le terre “alte”, quelle “basse”, strettamente legate all’evoluzione geomorfologica dell’area e corredate da attivi sistemi di drenaggio e controllo delle acque tramite scoli e fossati. Sostanzialmente fino a metà del secolo scorso ben poco era cambiato da quando l’agricoltura, dopo il suo avvio con il Neolitico (ottomila anni fa), aveva raggiunto consolidate tecnologie già in età romana e in seguito progressivamente perfezionatesi sulle basi di esperienze tramandate.
Per le nostre campagne il brusco passaggio nella gestione del mondo rurale è stato determinato dall’avvento della meccanizzazione e soprattutto da modelli sempre più incalzanti della prima globalizzazione. C’è stata, in un breve arco di tempo, una reazione drastica contro l’immagine di un mondo di sacrificio e di povertà, che di riflesso ha sconvolto le radici secolari della nostra identità. Se la meccanizzazione e le nuove tecniche agrarie hanno portato ad alleviare fatiche e contemporaneamente alla maggiore produttività del suolo, si è andato sempre più perdendo il legame tra uomo e natura, si sono sviluppati linguaggi nuovi che soppiantavano i precedenti. Il lavoro bracciantile si ridusse progressivamente e di conseguenza i contadini cercarono altrove nuovi mestieri.
Iniziarono a scomparire le stalle dove si allevavano, anzi si addomesticavano, animali per renderli docili a trasmettere la loro forza per trainare carri ed aratri: il bovaro dava loro, a tutti, un nome sempre cortese e che spesso rispecchiava il carattere della bestia. Gli edifici, anche maestosi con barchesse e fienili, furono adattati se non soppiantati da prefabbricati per allevare e in breve ingrassare animali da macello.
Si registrò in quegli anni anche lo sconvolgimento della nostra edilizia rurale. Vennero in diversi casi abbandonate sia case padronali che semplici dimore di contadini, per buona parte dignitose che, per alcuni particolari della loro identità, si caratterizzavano da quella di province limitrofe. Il rinnovamento, favorito da un generale benessere economico e da politiche istituzionali incuranti del recupero dell’edilizia preesistente, favorirono la costruzione di nuove dimore, atipiche, scandite da moduli ripetitivi di “case all’americana” (così si diceva), magari sull’aia divelta di una corte, magari con imponenti scale esterne, magari su collinette artificiali.
Anche le tecniche agricole hanno concorso a modificare gli scenari della campagna.
Oggi i concimi chimici, le sementi di laboratorio, gli immancabili trattamenti antiparassitari, consentono produzioni cospicue in ogni terreno; i campi sono sempre più estesi, livellati, privati da filari di alberi e scoline in quanto disturbano l’utilizzo e le manovre di macchine sempre più potenti, pesanti, tecnologiche. Certamente è impensabile tornare all’aratro trainato da buoi aggiogati per dissodare la terra o alla falce per mietere il grano, prima di stenderlo sull’aia.
Ormai sono i musei a conservare le testimonianze di questo passato prossimo, mentre restano solo nella memoria dei meno giovani immagini di intense attività agricole e quotidiane con tante voci di genti e animali e diffusi suoni e chiassosi giochi di bimbi in ogni corte: “io mi ricordo quando andavo d’estate a fare il bagno nel Canalbianco e nel fiume mia madre sciacquava il bucato…mi ricordo quel sapore fresco dell’acqua chiara, trasparente che lasciava intravedere le alghe fluitare nel fondo…”.
Se il progresso, la ricerca, le innovazioni tecnologiche hanno portato indubbi ed irrinunciabili vantaggi alla nostra vita, oggi è l’ambiente che soffre.
Si sono invertite le parti rispetto a quando era la nostra vita tanto sofferta e difficile. Allora, però, il lavoro dei campi e la precarietà pressoché quotidiana dell’esistenza trovavano sostegno nella fede profonda verso i valori della terra alla pari di quelli della vita, tanto da giungere a rendere quest’ultima più lieta. E’ proprio dentro a questa sommersa cultura contadina che si possono ritrovare le soluzioni per ripristinare i giusti equilibri, eliminare le disparità economiche e social, ristabilire, almeno in parte, la salute del nostro pianeta.
a cura di
Raffaele Peretto
Archeologo
* Chi è Mecenate?
Mecenate Gaio (70-8 a.C.) politico e letterato romano, consigliere di Augusto; protesse poeti come Virgilio e Orazio. Dal nome deriva mecenatismo, azione rivolta a promuovere e favorire l’arte e la cultura.