Bea di carta e la strada verso il mare

Questa è la storia di Bea, Beatrice a dire il vero.

Che per dirla tutta, mamma e papà chiamavano Bea di Carta. Il nome non aveva nulla a che fare con i suoi vestiti, o con il colore della pelle, ma con la sua eccezionale fragilità. Sì, perché Bea era davvero eccezionale, come eccezionale è sempre ogni bambino, anche se non lo sa. Aveva 12 anni, era figlia unica. I suoi genitori la amavano intensamente. Ma soprattutto Bea aveva una nonna molto anziana e saggia… Era un tipo solitario e timido e per questo, da quando aveva iniziato le scuole medie, non era ancora riuscita a crearsi degli amici.

disegno-1-beaSorrideva spesso Bea, ma se ne stava in disparte…il più delle volte credeva di non aver nulla di interessante da dire. Quando si parlava con lei bisognava alzare molto il tono di voce, Bea non ci sentiva bene. Anche i suoi occhi avevano bisogno di un aiutino e così Bea indossava un paio di occhialoni rossi che a volte nemmeno bastavano per permetterle di mettere a fuoco ciò che aveva davanti al naso. Camminava appoggiandosi alla sua stampella, ed era una gran conquista. perché per molti anni era stata costretta su una sedia a rotelle. Dopo la scuola, trascorreva i pomeriggi con una fisioterapista per gli esercizi alle gambe e con una insegnante privata che l’aiutava con i compiti. A volte era distratta… Bea fantasticava… Il suo più grande desiderio era una gita al mare. Immaginava di correre e rotolarsi sulla sabbia, di bagnarsi con l’acqua salata, di osservare i gabbiani … Si era fatta spiegare dalla sua insegnante privata la strada per arrivarci: al mare più vicino. Sarebbe servita circa mezz’ora di autobus, con un cambio all’andata ed uno al ritorno.

“Ho deciso” – pensò una sera prima di mettersi a dormire.
“Ho deciso che andrò al mare da sola con l’autobus”.

Quella sera Bea non riuscì a dormire. L’entusiasmo e l’emozione le impedivano di chiudere gli occhi. Pensava, progettava, immaginava….la sua gita. A tratti l’idea la spaventava anche un po’. Si sarebbe sentita più sicura se almeno un suo compagno di classe fosse andato con lei, ma non aveva mai chiesto a nessuno e, a dire il vero, non aveva mai confessato a nessuno il suo desiderio. Si girò e rigirò nel letto fino a notte fonda. Continuava a girarsi anche sul far del mattino, quando le vennero in mente le parole che la nonna un giorno le disse:
“Cara Bea, non avere paura, ma impara il coraggio di chiedere aiuto”.

Che volessero dire quelle parole, non lo sapeva…ma le rimbombavano nella testa. Rimase in silenzio tutto il giorno seguente. Poi, il giorno dopo ancora, zaino in spalla, salutò mamma e papà ma invece di andare a scuola…si posizionò davanti alla fermata dell’autobus per andare al mare. Tutto era pianificato.

Si accorse presto, però, che non era così facile leggere l’orario, né capire quale era il bus da prendere. Ci vedeva poco, ma quel giorno le sembrava di vederci ancora meno. Decise di rinunciare ed entrò in classe. Rimase in silenzio tutto il giorno. Per tutta la notte sentì forte nella testa l’invito della nonna che le diceva: impara il coraggio di chiedere aiuto. Il mattino seguente, zaino in spalla, appoggiata alla sua stampella si diresse di nuovo piano piano verso la fermata degli autobus.

A lungo cercò di leggere invano l’orario ed il numero dell’autobus che portava al mare, poi, con il cuore in gola, ad un passante chiese:
disegno3bea“Per favore signore, mi può aiutare a leggere qual è il bus che porta al mare? Sa, ci vedo poco e poi qui scrivono così in piccolo…” Quel signore gentile le lesse l’orario ed il numero. Poi, sorridendole: “Passa tra 5 minuti, se vuoi lo aspetto con te” Il bus arrivò puntuale e Bea vi salì felice come se avesse realizzato il suo più grande desiderio. L’entusiasmo durò poco. Sapeva che avrebbe dovuto cambiare, ma non quando e a che punto del viaggio… Prima di essere sopraffatta dall’emozione, fu raggiunta di nuovo dalla voce della nonna…”impara il coraggio di chiedere aiuto”.

Si rivolse all’autista e con gentilezza chiese: “per favore potrebbe indicarmi la prossima fermata in direzione mare”. L’autista gentile con voce ferma ed alta, rispose che lo avrebbe fatto. E così Bea di Carta, ripetutamente chiedendo, arrivò al mare. E non le fu facile nemmeno camminare sulla spiaggia: la sua stampella sprofondava e le sue gambe tendevano a cedere. Ma il bagnino impegnato a sistemare ombrelloni e sdrai, quando la vide di lontano, le andò incontro e la accompagnò fin sulla battigia. Bea, seduta sulla sabbia, lasciava che le onde le bagnassero i piedi.

disegno-4beaIn alto, su un cielo azzurro come non mai, scorse i gabbiani volare, poteva persino intercettare il loro garrito. Era felice e soprattutto era soddisfatta. Non si era ritirata.
Aveva imparato il coraggio di chiedere aiuto. Con serenità riuscì a tornare in paese. Si fermò prima a casa di nonna, semplicemente per dirle grazie. Poi si scusò con mamma e papà per non aver detto loro nulla e per non essere andata a scuola. Ma aveva visto il mare.

Lo aveva fatto quasi da sola, con tutti i suoi limiti. L’indomani a scuola, Bea di Carta non rimase in silenzio ed in disparte, ma aveva tante cose da raccontare…

scritta da Coi Momok, illustrazioni di Emilia Mazzetto studentessa Liceo Artistico “Roccati” Rovigo

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