I problemi comportamentali del bambino vanno compresi non puniti

Una separazione, un lutto, un trasloco, una crisi economica, la nascita di un fratellino possono determinare un cambiamento anche repentino del suo atteggiamento, rabbia, irritabilità, chiusura in sé stesso, insonnia, inappetenza…

Potrebbero anche manifestarsi delle anomalie relazionali sia con i coetanei nel gioco, sia con gli adulti, o arrivare a perdere motivazione nello sport o nello studio.

I meccanismi sottostanti il disagio del bambino
Nella maggior parte dei casi, quando accade un evento traumatico, i genitori sono portati naturalmente a proteggere i figli. Ma, il più delle volte, consolazioni o frasi come: “non è colpa tua; andrà tutto bene; è tutto come prima non è cambiato nulla” sono inefficaci per fronteggiare il disagio.

Ciò che realmente altera gli equilibri affettivi di un bambino sono i comportamenti non verbali (es. gesti, sguardi, tono di voce, postura). In altri termini, un bambino già precocemente è abile nel captare le intenzioni e le emozioni dei propri genitori. E così dal modo con cui mamma e papà lo abbracciano o lo prendono per mano, può facilmente percepire che qualcosa non va, o è cambiato e farsi così destabilizzare.

Le figure che prima lo proteggevano, ora sono in difficoltà e non sempre possono garantirgli quella vicinanza e quelle attenzioni a cui prima era abituato.
I bambini modificano spontaneamente i propri atteggiamenti per ripristinare la “vicinanza protettiva con i propri genitori” dopo l’evento che ha provocato quella temporanea “rottura relazionale e affettiva”, e tentano di richiamarli alle modalità che meglio conoscono.

Cosa possono fare i genitori?
Imparare ad osservare e comprendere i comportamenti disfunzionali dei propri figli, consapevoli del fatto che il bambino ricorre ai capricci o al silenzio eccessivo non per attaccare, ma come mezzo per chiedere aiuto. Capire questo, significa analizzare la situazione da più punti di vista, iniziando dapprima a porsi i seguenti interrogativi: quando mio figlio/a ha iniziato a comportarsi così? Come si è evoluta fino ad oggi la situazione? Dove si comporta così e con chi? Come reagiamo noi e gli altri verso quel comportamento?

mamma-punisceIn secondo luogo, occorre anche interrogare il vostro stato interno e quello del bambino di fronte ai momenti più critici che avete individuato, chiedendovi per esempio: “che cosa prova o pensa mio figlio in quei momenti? Cosa provo e penso io come genitore?

Le risposte a queste domande possono fornirvi decisamente un quadro più dettagliato del disagio il quale è composto da aspetti introspettivi e relazionali allo stesso tempo, abbandonando la convinzione secondo cui il problema sia dovuto esclusivamente al carattere del bambino o ad altri aspetti slegati dal contesto. L’osservazione e la comprensione sistematica del problema sono funzionali per poter intervenire adeguatamente, tenendo conto del livello di sviluppo del bambino.

Dai 12 mesi ai 4 anni, è il corpo la via d’espressione principale del disagio infantile, e sintonizzandosi su questo canale, il genitore può dimostrarsi più vicino al bambino, condividendo con lui un tempo esclusivo per le carezze quotidiane, quali ad esempio giocare insieme, esprimere apertamente il proprio stato d’animo e affetto, o leggere una favola prima di andare a dormire. In altre parole occorre “essere presenti nel presente” a livello fisico e mentale e con trasparenza, trasmettendo al bambino che in quel particolare momento siamo eccezionalmente interessati a lui e niente può disturbare la relazione fra noi.

Dai 6 ai 12 anni invece, il bambino sviluppa sempre di più la comunicazione, il pensiero, le competenze emotive e la capacità di leggere gli stati mentali altrui; per cui un genitore dovrebbe tenere conto di queste competenze per mettersi in contatto coi figli, parlando apertamente del problema, dello stress che provoca, negoziando verso una soluzione per superare insieme gli ostacoli senza evitarli.

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a cura di Laura Braiato, Psicologa e Psicoterapeuta

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