Guarda oltre il muro: dal cimitero ebraico all’antica sinagoga
Camminando per via Mure Soccorso, nel centro storico di Rovigo, lo sguardo viene rapito da alcune “finestre” nel muro che la costeggia e lasciano intravvedere un’area verde disseminata di lapidi di marmo.
Un luogo misterioso dominato da alberi e piante cresciute in modo disordinato, circondato da un alto muro, un’oasi verde in cui il tempo sembra essersi fermato. Seguendo il muro, poco più in là, ci si trova davanti ad un cancello in ferro con uno strano simbolo: un candelabro.
Sbirciando oltre il cancello, disegnato sul pavimento, ne appare un altro… una stella a sei punte.
Sono i simboli che ci richiamano alla mente il popolo ebraico. Cosa ci fanno a Rovigo? Dove siamo finiti?
Siamo nell’antico cimitero ebraico di Rovigo, uno dei luoghi rimasti che conservano ancora oggi la memoria storica della Comunità ebraica rodigina presente in Città sino al 1930.
Le prime notizie della presenza ebraica in Città risalgono al XIII secolo e al 1391 risale l’istituzione del primo banco di prestito di denaro, attività che sosteneva in modo determinante l’economia del territorio ma severamente proibita ai cristiani. Nel corso dei secoli in Italia, come in Europa, periodi di relativa tolleranza nei confronti delle Comunità ebraiche si alternarono a fasi di persecuzione che portarono all’espulsione degli ebrei dalla Spagna e all’emanazione della bolla papale Cum nimis absurdum (1555), che pose una serie di limitazioni ai diritti delle comunità ebraiche presenti nello Stato Pontificio, obbligandole a vivere in quartieri separati e a portare segni distintivi di riconoscimento.
Fu così che a Venezia nacque il primo Ghetto (1516), un’area controllata e isolata dal resto della città in cui erano costretti a vivere gli ebrei.
Anche a Rovigo nel 1627 venne creato il ghetto ebraico nella zona confinante la Chiesa e il Convento di S. Antonio Abate (ora S. Domenico) fino a Porta di San Bortolo dove risiedevano già alcuni componenti della Comunità, area che coincide grossomodo con l’odierna Piazza Merlin.
Le abitazioni del ghetto erano separate dall’esterno da un muro che aveva più accessi e un portale di entrata nell’odierna via X luglio; a causa del grande numero di persone costrette ad abitare in poco spazio si rese necessario costruire edifici alti 4 o 5 piani che spiccavano fra gli altri edifici di Rovigo molto più bassi. Nel 1797 le truppe francesi aprirono le porte del ghetto scalpellando la lapide del portale per cancellare ogni ricordo di una segregazione e discriminazione che tanto contrastava con gli ideali di cui si facevano portatori.
Molti componenti della comunità ebraica rodigina parteciparono con fervore alla vita politica e culturale del neonato regno d’Italia. In questi anni la maggioranza delle famiglie ebraiche lasciarono il ghetto e, poiché Napoleone proibì di seppellire i morti all’interno delle mura cittadine, venne inaugurato un nuovo cimitero in via Stacche non lontano dal cimitero cristiano che è tuttora funzionante; infine, nei primi decenni del XX secolo, venne costruita la nuova Sinagoga in via Corridoni, oggi abitazione privata.
Il progressivo spostamento di molti membri della Comunità verso centri economici più ricchi fece sì che essa venisse soppressa e passasse sotto la giurisdizione patavina e, di pari passo, il degrado e l’abbandono della “cittadella del ghetto” portò le autorità comunali a deciderne l’inderogabile distruzione nel 1930, periodo in cui le leggi razziali e il secondo conflitto mondiale si preparavano a portare morte e devastazione in tutta Europa.
Oggi dell’antico ghetto, vera e propria “cittadella” sorta nel cuore della Città, rimangono il portale collocato nel muro esterno di Piazza Annonaria e le costruzioni restaurate adiacenti la Piazza che si distinguono nettamente dagli edifici circostanti per la loro altezza anomala.
L’antica Comunità ebraica rodigina ha lasciato nel tessuto urbano cittadino una serie di tracce della propria esistenza quasi a suggerire il recupero della sua memoria per farne “luogo” di riflessione in cui il passato può divenire “nutrimento” per il futuro.
a cura di Associazione Culturale TeradaMar