La vera storia di Re Mascherone
C’era una volta un re sempre in festa. Ne organizzava tre alla settimana e tutti dovevano partecipare, indossando sempre una maschera.
Si racconta che quel re, non si divertisse poi tanto alle sue feste e che invecchiando, smise di organizzarle, ma obbligò tutti i suoi sudditi ad indossare sempre e comunque la maschera.
Con il passare del tempo la sua fissazione per le maschere si inasprì fino a punire quelli che, per caso, trovava senza. Gli abitanti di quel regno, che dapprincipio sembravano divertiti all’idea di vivere sempre mascherati, con il tempo ne provavano fastidio e insofferenza.
Nelle giornate calde d’estate, portarla sopra il viso era una vera tortura. Con la maschera, inoltre, era difficile fare qualunque cosa, mangiare, bere, ma soprattutto sorridere, o ridere, o piangere…o esprimere una qualsiasi emozione. Qualcuno degli uomini più vicini al re chiese spiegazioni di questa sua determinata volontà e in tutta risposta ebbe un secco:
“La volontà del re è la volontà del re!” Raccontano, i più informati, di aver sentito il re bisbigliare ad un confidente: “Non li tollero proprio i volti delle persone: Quante brutte imperfezioni. Quante smorfie inutili. Quante lacrime, quanti occhi sgranati di paura! Non li voglio vedere! Ma soprattutto non tollero le smancerie: certi sorrisi, quei baci, quelle tenerezze che…! Bah!!!
Nessuno osi mai! Nel mio regno io voglio solo maschere!”
E così caddero invano tentativi e tentativi di far cambiare idea al re, che per altro indossava pure lui una maschera rigidissima che non si toglieva nemmeno prima di dormire. Raccontano che da decenni non si specchiasse più.
Venne, un giorno, a bussare alla porta del re un giovane ragazzo coraggioso. Non indossava la maschera.
Disse: “Questo è il mio volto. Così il buon Dio mi ha creato e così voglio vivere, senza maschere! La tua legge è ingiusta e condanna tutti noi alla solitudine. Non un bacio di mamma sulla pelle, non un sorriso di un amico, non uno sguardo di conforto alle mie lacrime…nulla! Tu non sei un buon re!”
Alle parole del giovane, il re infuriato rispose con una durissima condanna : “Guardie! – gridò – Prendetelo e portatelo sulla piazza degli Esempi” (era il luogo dove venivano inferte punizioni esemplari che dovevano servire da monito per tutti gli altri).
Lì, nel mezzo di una piazza gremita di gente, venuta apposta, stava il giovane. In piedi, le mani e le gambe legate. Le guardie, come ordinato loro, cominciarono ad insultarlo e poi a colpirlo. Il giovane, immobile, sospirava dal dolore. Le sue lacrime, scendendo, gli rigavano il corpo.
Di fronte a quello spettacolo di durezza e ingiustizia, molti presenti impietositi, si lasciarono andare all’emozione e cominciarono a piangere.
Le lacrime sciolsero quasi tutte le maschere, che caddero a terra.
Anche il re non rimase impassibile. Quel ragazzo, infondo, non meritava una punizione tanto dura… “Ma lui era il re – si ripeteva – e quel giovanotto aveva osato sfidarlo…Lui era il re – si ripeteva – e doveva dimostrarsi più forte e autorevole di tutti. Lui era il re – si ripeteva – e il re non concedeva spazio alle emozioni, di nessun tipo”.
Quando però i sospiri dei presenti si trasformarono in singhiozzi , il re non poté non alzare lo sguardo verso quei tanti occhi bagnati che in vita sua non aveva mai voluto incontrare.
“Bastaa! – gridò alle guardie – Lasciate andare il ragazzo”. Il giovane si trascinò carponi verso il re. E giunto ai suoi piedi, glieli strinse in un abbraccio di gratitudine.
Il re sentì il calore di quell’abbraccio propagarsi dalle gambe fin su al cuore, agli occhi…Bastò una sola sua lacrima per far crepare quella sua angusta e durissima maschera. Fu questione di un attimo: il re incrociò lo sguardo sorridente, benché provato, del giovanotto e poi quello rassicurato dei tanti cittadini venuti nella piazza degli Esempi. Da quel giorno non smise più di incontrarli. Ricominciò ad organizzare feste.
Ma nessuno più era obbligato ad usare la maschera.
scritta da Coi Momok