Bullismo: comprendere per arginare

Cos’è il bullismo? Ce ne parla Paolo Ballaben, psicologo psicoterapeuta
Partiamo da una premessa: da sempre le persone quando si riuniscono in gruppi inventano modi per definire i propri comportamenti. Alcuni modi si trasformano in regole esplicite ed altri rimangono impliciti. La psicologia definisce questi modi con il termine di “dinamiche di gruppo”.

Il fenomeno del bullismo è quindi una particolare dinamica di gruppo con alcune costanti: una situazione di prevaricazione, la presenza di atti intimidatori ma senza che ci sia una violenza eccessiva, un’interazione tra soggetti che si ripete, la presenza di più ruoli, ovvero del bullo, della vittima, degli spettatori che tifano per il bullo e degli spettatori che rimangono passivi. Solo in presenza di queste costanti possiamo parlare di bullismo.

Ci sono altri tipi di dinamiche di gruppo? Immaginiamo di visualizzare lungo una linea i comportamenti di gruppo. Al primo estremo ci troviamo i “rituali”. Sono quei comportamenti che segnano un cambiamento previsto dalla società di riferimento di quel gruppo e
quindi regolamentato. Pensiamo ad esempio al matrimonio, agli esami di fine ciclo scolastico, i baffi col pennarello per gli studenti nuovi iscritti e cosi via.

All’estremo opposto ci sono tutte quelle forme di aggressività e violenza che
troviamo ad esempio nei tifosi ultras, oppure nelle bande di ragazzi metropolitani.
A partire dagli anni Novanta abbiamo assistito all’emergere di alcuni
fenomeni che possiamo posizionare nel mezzo tra i due estremi, come il nonnismo
nelle caserme, il mobbing in azienda ed infine il bullismo nelle scuole.

Ed il cyberbullismo invece?
Con la diffusione dei nuovi media il bullismo assume un aspetto ancora più grave. La prevaricazione fisica si trasforma in “presa in giro” generalizzata.
Le immagini e i video una volta messi in rete hanno vita eterna. Con facebook e whatsapp chiunque e da qualunque parte può aggiungersi alla prevaricazione, come pubblico che tifa contro il “bullizzato”. Un altro aspetto nocivo è l’anonimato garantito dalla rete, così che anche il più “ebete” può trasformarsi in un “leone da tastiera”.

Da cosa ci si accorge che il proprio figlio è vittima di bullismo?
I segnali sono molteplici. I più evidenti nel breve periodo sono: un controllo continuo e nervoso del cellulare, i molteplici tentativi di evitare la scuola, un peggioramento del rendimento scolastico e la richiesta di soldi senza dare motivi credibili.
L’umore comincia a cambiare accompagnato da sbalzi d’ansia o di tipo depressivo. Nel medio e lungo periodo, invece, si assiste ad un peggioramento della propria autostima e ad una accresciuta insicurezza nel rapporto con gli altri.

E se il bullo è proprio nostro figlio, come ce ne accorgiamo?
Non perdendo mai di vista il proprio figlio e soprattutto facendo caso ad alcuni atteggiamenti come: comportamenti fortemente oppositivi, la tendenza ad interagire con gli altri svalutandoli, il ricorso frequente a minacce e la tendenza a rompere oggetti o cose in generale.

Può succedere a tutti di essere vittime?
Il bullismo è un fenomeno circolare. Cosa si intende per circolarità? Che non può esistere un bullo se non esiste anche qualcuno disposto a passare per vittima e viceversa.
Intervenire solo su uno dei due non darà grandi risultati in termine di cambiamento efficace. Ecco quindi che è utile offrire un percorso di consulenza psicologica sia alla vittima che al bullo ed eventualmente qualche incontro anche ai familiari.

Il bullo e la vittima condividono una difficoltà nel relazionarsi con gli altri, il bullo reagisce aggredendo, mentre il “bullizzato” molto spesso fa propri comportamenti eccessivamente vittimistici.

Cosa fare quando emergono fenomeni di bullismo?
Prima di tutto è utile capire in quale contesto ci troviamo, se scolastico, sportivo o sociale.
L’associazione “SOS abusi psicologici”, di cui faccio parte, in questo ultimo anno si è occupata soprattutto del bullismo all’interno della scuola e le azioni adottate hanno coinvolto i professori, i ragazzi e i loro familiari.
Abbiamo lavorato molto sulla consapevolezza degli stili relazionali e quindi sulla possibilità di modificarli aumentando così la stima di sé e la sicurezza personale.
In ambito sportivo si può lavorare anche nel promuovere una competizione sana, evitando il rischio di una competizione cattiva che mette tutti contri tutti.

COMPRENDERE PER ARGINARE

intervista a cura di Micol Andreasi

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