Una rosa per Rovigo
Inspirò di nuovo a pieni polmoni.
A Martino mancava tanto la nonna. Premeva il naso contro i petali della rosa vermiglia che lei gli aveva lasciato in custodia. “Abbi cura di lei”, gli aveva detto. Un arrivederci che era suonato come un addio. La nonna non sarebbe mai tornata e lui si inebriava di quel profumo, il profumo dei ricordi, delle dolcezze e dell’affetto incondizionato.
Mentre il piccolo si addormentava, un uomo, da un’altra parte, non trovava pace e sperava che il sonno prima o poi potesse giungere a portarlo via dai tormenti che impregnavano la sua vestaglia di sudore. Era il vescovo di Adria. Tossiva. Non un’influenza la causa, ma l’agitazione per una questione che imprigionava la sua mente notte e giorno. “Ungari” era la parola che batteva colpi sempre più pesanti nella sua testa. Erano arrivati e con loro il pericolo. Occorreva trovare un riparo, ma dove? Tutto il peso della responsabilità gli schiacciava il petto e la tosse si affacciava prepotente a ricordargli quanto lui si sentisse impotente e piccolo.
Lo sfinimento giunse infine a dargli pace e mentre il soffitto della camera diventava sempre più confuso, apparve un uomo di fronte a lui. “San Pietro..”, balbettò.
Martino camminava mentre la gente sottovoce bisbigliava. Bocche accostate agli orecchi già sussurravano che il vescovo di Adria aveva sognato S.Pietro. In mano un pastorale decorato con rose vermiglie, avrebbe suggerito di costruire una fortificazione a Rovigo per proteggere tutti dai barbari.
Nel cuore di Martino si mosse un brivido di eccitazione. Era stata la nonna? Il vescovo si preparava a partire. Una folla di curiosi gli faceva da scorta mentre sul suo volto si percepiva la preoccupazione per l’impresa. Tirò un lungo sospiro e in quel momento qualcosa catturò la sua attenzione.
Fra la folla c’era un bambino, in silenzio, gli occhi chiusi, il naso arricciato ad inspirare il profumo di una rosa dal vivace colore. La stringeva tra le magre braccia come il più caro degli affetti.
In mezzo agli sguardi ammutoliti dei popolani il grand’uomo si diresse a passo lesto verso quel piccolo miracolo. “ E’ una rosa veramente bella, solo un folle non se ne prenderebbe cura”, esordì il vescovo . “E’ della mia nonna”, rispose il bambino. Gli occhi grandi, pieni di ammirazione.
“Mi concederesti l’onore di portarla a Rovigo in nome di San Pietro?” Il cuore del piccolo era diventato improvvisamente enorme, l’unica risposta furono le braccia tremanti che si allungavano per affidare il ricordo della nonna fra quelle premurose del vescovo.
Da quel giorno Rovigo ebbe la sua rosa. Su di lei soffia il vento caldo dell’estate e cade la rugiada fredda d’inverno. Il tempo passa, ma lei continua a portare il suo prezioso messaggio nel luogo in cui venne eretta la fortificazione, dove svettano ancora le due grandi torri simbolo della città.
Andate bambini a vedere la rosa di Martino, è la, accanto al muro addossato alla torre Grimani. Portatele dell’acqua e prendetevene cura e lei vi insegnerà il significato di amore, amore per la vostra città.
Qualche anno fa il gruppo Ctg Rovigoti ha piantato una rosa antica a ridosso dei resti delle mura secolari, ad evocare il genius loci del Castello di Rovigo.
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a cura di Evelin Crepaldi
animatrice culturale e referente dei laboratori creativi di Palazzo Roverella per Turismo e Cultura.