Silvia Avallone, mamma a caccia di storie
Ha gli occhi neri e grandi, accesi di curiosità su ciò che le sta intorno. E’ una cacciatrice di storie. Le legge, le incontra, le fa sue, le vive, le scrive.
Silvia Avallone, classe 1984, premio Strega 2010 con il romanzo Acciaio, è anche autrice di Marina Bellezza (2013) e di Da dove la vita è perfetta (2017).
Da due anni è mamma di una bimba. Vive con la sua famiglia a Bologna, dove si è trasferita ai tempi dell’università dalla città di Biella.
Che cosa significa essere genitori?
Me lo sono chiesta così tante volte che ho deciso di scrivere un romanzo nel tentativo di darmi una risposta. E’ nato così “Da dove la vita è perfetta”. Adele, una delle protagoniste, ha solo 17 anni e si trova ad affrontare l’esperienza di una maternità non cercata e di un parto, da sola.
Dapprincipio, credeva che suo figlio sarebbe stato maschio e che come tale avrebbe colmato i vuoti lasciati da tutti i maschi della sua vita. L’ecografia le rivela, però, che il bimbo che porta in grembo è una femmina. E’ a questo punto che Adele prende coscienza dell’alterità del nascituro. Che non compenserà nessuno dei suoi vuoti. Decide allora, dopo averlo partorito, di lasciarlo… Dora, altra protagonista del romanzo, è molto più grande di Adele, sposata da tempo. Desidera un figlio, lo vorrebbe sentire crescere dentro il suo corpo, vorrebbe vivere l’esperienza del parto… ma è costretta a cercare suo figlio fuori da sé, oltre il proprio corpo. Queste due storie mi hanno fatto capire che essere genitore non significa partorire, ma diventare consapevoli che un figlio è altro da noi, che non è nostro, che non viene al mondo per colmare i nostri vuoti, ma per essere felice. E che nostra è la responsabilità della sua felicità.
Quanto le storie di Adele e di Dora centrano con la tua biografia e con l’esperienza della tua maternità?
Tanto. Scrivevo il romanzo mentre mi avvicinavo al momento del mio parto. Ne ero terrorizzata. Ed ero carica di interrogativi circa l’essere ed il diventare mamma. La maternità è un’esperienza fortissima, sa gettare ombre e luci anche sulle convinzioni più consolidate. Mi ha spinto ad interrogarmi, a guardarmi dentro, e a cercare fuori di me, attraverso le storie incontrate, le parole per superare le mie paure e rispondere ai miei interrogativi.
Che cos’è la scrittura per te?
E’ una conseguenza della lettura. Fin da quando ero bambina ho scoperto nei libri una possibilità straordinaria per allargare i miei orizzonti. Uscire da me, dalle mie convinzioni per affacciarmi sulla vita e sui pensieri di altri, per entrarvi senza giudizi, ma tanta curiosità. La lettura mi ha insegnato che le possibilità sono infinite. Saperlo è utile per non arrendersi mai e ricominciare in ogni momento. Scrivere per me è, allora, spingersi ancora oltre, fuori di me, fuori dalla mia stanza e immergermi totalmente nelle vite e nelle storie di altri. Ogni romanzo scritto mi ha permesso di incontrarle davvero queste storie straordinarie. Così scrivendo di Adele, all’ospedale Sant’Orsola di Bologna (città dove è ambientato il romanzo), ho conosciuta l’associazione CuccioLo che si occupa di coccolare i neonati prematuri o in attesa di adozione o affido, ospitati nel reparto di Neonatologia.
Cosa ti spaventa?
Come tutte le mamme ho un sacco di paure. Vorrei proteggere mia figlia da ogni dolore, vorrei soprattutto non far trapelare le mie debolezze. Il fatto è che ogni genitore è una persona imperfetta. E che, per quanto sia doloroso per un figlio prendere atto dell’imperfezione del papà o della mamma, resta questo un passaggio obbligato della crescita. E’ il momento in cui ci si rende conto di essere individui indipendenti e responsabili per se stessi
Farai giocare tua figlia con il tablet ed i giochetti elettronici?
Preferisco i libri. Favoriscono l’immaginazione, la creazione, la libertà e soprattutto la relazione. Mi piace pensare che la mia bambina faccia un corpo a corpo con il mondo, veda, tocchi, sperimenti, ascolti…che del mondo apprenda i linguaggi e solo successivamente si serva della tecnologia, come strumento al servizio del linguaggio, non surrogato o sostituto.
Perché è utile portare i bimbi in biblioteca o in libreria?
Perché sono i luoghi dove si insegnano i sogni. Dove è possibile avvicinarsi ai tanti linguaggi del mondo e dove è possibile comprendere la molteplicità di strade aperte di fronte ad ogni uomo. Aprire librerie e biblioteche anche solo per bambini è un atto politico rivoluzionario. Lo è ancora di più oggi, tempo del sogno facile, consumista e materialista in cui è d’obbligo far finta di essere sempre felici. Ma c’è un tempo nella vita di ciascuno in cui si deve fare i conti con la verità. E’ il momento in cui servono parole autentiche. Io le ho trovate sempre nei libri.
Cosa stai progettando?
Accantonato il vecchio libro, ora cresce in me la necessità di rimettermi a caccia di storie. Scrivere, prima di tutto, è investigare, essere testimoni armati di taccuino.
a cura di Micol Andreasi, giornalista