Stella Odimuko

Ho lasciato la Nigeria per amore…

Stella Odimuko ha 38 anni ed è mamma di tre bambini. Con loro e con il marito Hanry vive a Grignano da circa 8 anni. Da quando cioè ha lasciato la Nigeria per raggiungere Rovigo dove Hanry lavorava per un’azienda calzaturiera.

Quanto coraggio c’è voluto a partire ?
Il mio non è stato un viaggio difficile. Sono arrivata in aereo, avevo il visto e mio marito, in Italia, a Rovigo, aveva un lavoro ed una casa. Non sono scappata da una situazione di disperazione, vivevo nella regione della Nigeria del Sud che è molto diversa dalla regione del Nord, gran parte della quale è oggi in preda alla follia jihadista di Boko Haram. Io ho semplicemente scelto di raggiungere il mio amore. E di cominciare una vita lontano dalla mia terra.

Qual è stata la cosa più difficile che hai dovuto affrontare?
Quando sono arrivata a Rovigo non riuscivo a parlare, né a farmi capire. Anche spostarmi in città mi era difficile. Ero impaurita ed insicura. Mio marito mi ha aiutato molto. Poi ho conosciuto tante persone che col tempo sono diventate amiche. Mi hanno insegnato la lingua italiana, che oggi è per me una passione tanto grande da farmi trascorrere molto tempo in biblioteca a leggere. Ma soprattutto mi hanno fatto sentire accolta. E con me hanno accolto la mia famiglia che in pochi anni è cresciuta. Sono nati qui, infatti, i miei tre figli.

Della Nigeria cosa ti manca?
I miei genitori, i miei fratelli, i nipoti e gli amici. Mi mancano anche le grandi feste della tradizione nigeriana con i costumi colorati e vistosi, che in qualche occasione utilizziamo anche qui. Ma mi manca soprattutto il mio lavoro in ospedale. Ho un diploma in infermieristica e ostetricia e in Nigeria lavoravo in un reparto di Ortopedia. Lo facevo con dedizione perché era davvero ciò che desideravo fare fin da quando ero piccola. Arrivata in Italia per molti anni ho dovuto fare i conti con l’impossibilità di esercitare la professione di infermiera e ancora peggio con l’impossibilità di una qualsiasi occupazione. Mi sono sentita a lungo mortificata, e non perché non riuscivo a contribuire al mantenimento della mia famiglia, ma perché non mi sentivo utile a nessuno, non trovavo il mio senso all’interno della comunità. In Africa chi non lavora, oltre ad occuparsi della sua famiglia, si prende cura anche di quella dei suoi parenti e spesso aiuta nelle faccende domestiche o semplicemente nell’accudimento dei figli, amici o conoscenti vicini di casa. Funziona così…non si è necessariamente retribuiti, ma questa disponibilità permette di sentirsi comunque parte di un gruppo, utili e degni.

Che cos’è la famiglia per te?
Il luogo dove inizia la vita. Dove posso trovare pace, sicurezza, la gioia del cuore. Non smetterò mai di ringraziare Dio per avermi concesso il dono grande della mia famiglia.

Cosa pensi della emergenza migranti di questi ultimi anni?
Credo che alla necessità di salvare vite umane, di accogliere chi scappa dalla guerra o dalla fame, si debba affiancare un’altra necessità: quella di tutelare la sicurezza della comunità ospitante. Non si può abbassare la guardia, ed è bene che i malviventi vengano identificati e respinti immediatamente. Credo anche, però, che questa emergenza continuerà a crescere se non si interviene là dove tanto male è generato. Arginare l’emergenza migratoria significa lavorare nei Paesi da cui tanta gente scappa per costruire laggiù la consapevolezza di un popolo che può e deve cambiare le cose. Lo potrà nella misura in cui avrà accesso all’istruzione, in cui sconfiggerà il male assoluto dell’ignoranza. Se la povertà porta alcuni a rubare per sopravvivere, l’ignoranza impedisce di riconoscere il valore della vita e della dignità di ogni uomo, legittimando qualunque forma di violenza o usurpazione. Cosa sogni? Di poter tornare a fare l’infermiera. Ma anche di veder crescere i miei figli in salute e nella gioia, mentre realizzano loro stessi con impegno e studio. Sogno che la vita possa donare a me e a mio marito tanti giorni sereni come oggi.

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