Il Maestro Paolo
Il Maestro Paolo e la scuola che insegna a diventare grandi
Paolo Milanese, per i bambini della scuola materna “Principe di Napoli” di Rovigo, è il maestro Paolo. Come lui ce ne sono davvero pochi, per la sua capacità di entrare in relazione con i suoi giovani alunni, per il sorriso con cui accoglie le tante emozioni diverse che ogni mattina entrano nella sua aula, per la passione con cui vive il suo mestiere. Ma anche perché, a dire il vero, sono proprio pochi gli uomini che scelgono di fare il maestro di professione.
Come è finito nella scuola dell’infanzia?
“Per caso. Dopo il diploma magistrale, studiavo Composizione al Conservatorio di Perugia. Una mia collega di quel periodo lavorava come maestra in una scuola materna privata. Mi chiese di sostituirla per una malattia… Una settima di scuola è diventata un mese e poi…una scelta di vita. Nel 1999 c’è stato il concorso pubblico, l’ho vinto in Veneto e ho iniziato ad insegnare prima a Padova e poi a Rovigo. Non mi sono mai pentito della scelta che ho fatto, perché credo che il mio sia il lavoro più bello del mondo”.
Cosa lo rende tanto speciale?
“Il fatto che ci si occupa dello sviluppo e della crescita di una persona nella sua complessità. Si accompagnano i bambini ad acquisire autonomia dalla gestione delle funzioni base, come tenere una forchetta o fare pipì, alla verbalizzazione delle proprie emozioni, passando per l’interiorizzazione della regola, la condivisione, e soprattutto per il gioco. Così, il bambino, in un clima di spensieratezza e di amicizia, passo dopo passo cresce e diventa un piccolo adulto. Capace anche di trascrivere il proprio nome, contare o usare tecniche diverse per colorare un disegno. Credo che in nessuna altra tappa del percorso scolastico di un ragazzo si riesca ad abbracciare una dimensione così globale dell’individuo. Questo rende speciale il mio lavoro”.
Lavorare con i bambini significa entrare nel privato di tante famiglie… Come sono cambiate le relazioni all’interno dei nuclei familiari?
“Non ho ancora vent’anni di osservazione, ma di alcuni cambiamenti mi sono accorto. Ad esempio mi sono accorto che i genitori sono diventati più consapevoli dell’importanza del tempo da dedicare ai propri figli. Perché educare è cosa diversa dal dare e offrire opportunità, è invece accompagnare il bambino a scoprire chi è. Negli anni è cambiato anche il ruolo del papà. Prima sempre troppo impegnato al lavoro per partecipare alla vita scolastica dei figli, ora è più presente e coinvolto. Ciò vale anche quando i genitori sono separati. E’ inutile dirlo, i bambini sono trasparenti…non c’è bisogno di chiedere loro nulla, della loro famiglia raccontano tutto”.
Nella scuola italiana dovrebbero esserci più insegnanti maschi?
“Certo che si. L’educazione, fin dai tempi antichi, è stata in capo agli uomini. Poi, per fortuna, nei secoli il ruolo della donna si è emancipato ed il suo peso soprattutto nella scuola di ogni ordine e grado è cresciuto. La grande assenza di insegnanti maschi dell’ultimo periodo è in parte il risultato di un retaggio culturale secondo cui l’uomo, all’interno di un contesto familiare, deve guadagnare di più rispetto alla donna. Per questo motivo, per lui la scuola è diventata poco attrattiva. Vincere questo retaggio significa offrire l’opportunità a tanti uomini di realizzare la propria vocazione professionale e significa anche offrire ai nostri ragazzi una scuola più ricca e complessa in cui il messaggio sia chiaro: nulla in una società che vuole davvero essere felice è più importante dell’educare!”.
Qual è la sua ricetta per una scuola dell’Infanzia felice?
“Credo che serva soprattutto tanta umanità, che significa saper ascoltare con pazienza, guardare dritto negli occhi per raggiungere il cuore…e mettere al centro di ogni progetto educativo sempre e solo il ragazzo ed il suo bene. Questa ricetta vale sempre, ma vale soprattutto oggi che la scuola italiana sta inseguendo il modello americano delle competenze e dei saperi specifici. Così la scuola dell’infanzia da luogo di giocosità ludica diventa un luogo di propedeutica alla primaria, con il rischio possibile di trascurare quel sapere profondo che si consolida nell’imparare a stare qui ed ora a contatto con ciò che sono. In questo modello nuovo di scuola, l’umanità degli educatori e degli insegnanti è assolutamente fondamentale”.
E’ vero nel mondo della scuola ci vorrebbero più figure maschili sia per l’identificazione dei bambini sia per spezzare alcune dinamiche fra docenti donne. Grazie per l’articolo molto interessante